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di Gregorio Plescan

"Il popolo vide che Mosè tardava a scendere dal monte; si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: Facci un dio, poiché quel Mosè non sappiamo che fine abbia fatto. Aaronne rispose: Staccate gli anelli d'oro che sono agli orecchi. Li prese e ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!" 


L’oro è un colore antico ma anche contemporaneo, carico di storia ma scambiato quotidianamente nelle borse valori. Parlare dell’oro è sdrucciolevole: pensiamo di sapere già cosa ci aspetta: inviti a essere sobri, ecc. Invece il racconto del vitello d’oro è stimolante, per la statua e per il materiale che la costituisce. Nell’assenza di Mosè gli Ebrei usano un’immagine tipica del loro tempo: un toro, che rimandava alla fertilità. D’oro, per renderla nobilissima. Non l’oro come altro dio, ma oro come modo per rappresentare Dio. Pensare a Dio significa fare i conti con l’oro e anche con il nostro rapporto con esso, e come dice Gesù, dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore. L’oro, accostato a Dio, è lo strumento con cui la Bibbia ci rivolge domande importanti: com’è fatta la nostra fede? Con quale senso la rappresentiamo: tatto per le statue? Vista per i quadri? Udito per la musica?

Quanto siamo disposti a investire per mantenere viva la fede, non solo oro, ma anche oro? 

Non possiamo evitare queste domande: possiamo far finta che non ci siano, sì, ma è sempre fingere, per evitare di dare una risposta personale; credere di poter vivere evitando accuratamente di pensare a cosa fare delle nostre ricchezze, semplicemente, non è possibile. Parlando dell’oro la Bibbia ce lo ricorda, senza falsi pudori.