I link che seguono forniscono la collocazione della pagina attuale nella gerarchia di navigazione.

di Jonathan Terino

"Cristo dice: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me»"


Parla il Figlio dell’uomo in una parabola il cui contesto apocalittico e giudiziario non poteva sfuggire agli ascoltatori ebrei: le nazioni, cioè le genti non appartenenti al popolo di Israele, sono raccolte attorno al trono glorioso per essere giudicate individualmente dal Re giudice della fine dell’Età. Quale sarà il criterio del giudizio? E chi sono “questi miei minimi fratelli”? Sono i membri del suo popolo oppresso e perseguitato, presenti a quella grande assise finale, con i quali egli si identifica. Non avranno avuto in vita un nome e una storia riconoscibili.

Chi sono i minimi fratelli e sorelle di Cristo oggi intorno a me, in questo occidente cristianizzato? Cosa posso fare per incontrarli? “... ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi…”. Cosa scopro del Dio di Gesù incontrando coloro che soffrono? Non posso separare i verdetti del Giudizio finale dal Manifesto delle Beatitudini.

Se la parabola riprende l'idea tradizionale di retribuzione per i propri atti e l'instaurazione di un nuovo e più giusto ordine, indica anche che non si tratta di una questione di meriti; qui essa confonde invece di svelare, facendo risaltare l'ignoranza condivisa da pecore e capre, sorprese del loro destino ed identità. Non cediamo alle interpretazioni moralizzanti della parabola! Lasciamo aperta la tensione fino alla fine: "Signore, oggi quando mai ti ho visto affamato, assetato, straniero, nudo, incarcerato?”.

Obbedire a Cristo non sarà risultato di uno sforzo, perché il buon frutto viene da alberi buoni.