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di Letizia Tomassone

Si è chiusa martedì 20 l'assise della Conferenza delle Chiese europee

Quattro importanti relazioni hanno fatto respirare l’Assemblea della Conferenza delle Chiese europee (Tallinn, 15-20 giugno), aprendola ad analisi e pensieri nuovi e al coraggio di mettersi in gioco come comunione di chiese, insieme.

C’era il bisogno di non fermarsi solo alle questioni dei limiti di bilancio che rischiano di far prendere delle decisioni al ribasso, o ai cambiamenti di statuto, che pure sono essenziali per far procedere in modo sempre più trasparente e democratico l’agire collettivo. Tra l’altro proprio il lavoro sullo statuto ha permesso di ripensare gli equilibri regionali dei consiglieri possibili nel Governing Board, e di passare da nessuna rappresentanza per il Sud Europa in tale organismo a due presenze: il pastore italiano battista Simone De Giuseppe e la francese Claire des Mesnards, pastora della Chiesa protestante unita di Francia. A loro, al nuovo presidente, l’arcivescovo Nikitas, del Patriarcato ecumenico, e in particolare ai e alle giovani entrate nel Governing Board, facciamo i migliori auguri perché lo Spirito di Dio che ha soffiato in questa Assemblea li accompagni con la sua capacità di scompigliare le carte.

Quattro relazioni, dunque: una sulla politica in questa parte d’Europa e sulla nonviolenza come strumento democratico (offerta dalla politica dissidente bielorussa Svitliana Tikhanovskaya che vive in esilio, mentre il marito è in prigione); una di analisi sociologica da parte del prof. Hartmud Rosa; due più interne alle chiese ma di grande importanza. L’arcivescovo anglicano Rowan Williams e il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. Lo sguardo esterno è apparso più benevolo di quello interno, quest’ultimo mosso da una grande capacità profetica e critica. La dissidente bielorussa ha messo in luce come persino la dimensione della “fraternità” possa essere piegata a una ideologia di violenta annessione, e ha invitato le chiese a riaffermare il senso dei loro valori, a dire la verità di fronte a dittature come quella russa, e ad affiancare all’impegno per la libertà dei detenuti politici la preghiera per i diritti umani.

Il sociologo Hartmut Rosa ha messo in evidenza come esistano due possibili modi di essere Europa, quello sostenuto dal mercato che è competitivo e aggressivo verso il pianeta, e si alimenta di violenza, e quello che si può trovare per esempio nelle chiese: mettersi in ascolto di una voce altra, di Dio o della natura che ci è compagna, lasciare che altre voci facciano risonanza con la nostra e lasciarci così trasformare nell’incontro autentico con l’altro. Certo la descrizione delle chiese come luoghi del silenzio, dell’ascolto e della contemplazione di una risonanza che trasforma, non coincide esattamente con l’immagine e la realtà della chiesa che ne abbiamo noi: luoghi di potere, che spesso hanno la presunzione di conoscere già la verità di tutto e di volerla imporre. Perciò in uno dei documenti finali si scrive come vorremmo essere: una chiesa «immaginativa e coraggiosa; aperta, non arrogante; capace di ascoltare, non solo di parlare; fiduciosa, non ansiosa; piena di speranza, non di ingenuo ottimismo».

I discorsi di Rowan Williams e del patriarca Bartolomeo sono scesi più nel dettaglio sulla nostra vocazione di chiese chiamate alla speranza e alla giustizia. In particolare, il patriarca ha denunciato quell’ecumenismo dei cosiddetti valori cristiani che, volendo imporre una sola morale, diventa divisivo ed escludente. Bartolomeo ha invitate le chiese a diventare capaci di sostenere il conflitto e il gioco delle differenze, perché è lì lo spazio della chiesa, corpo di Cristo.

L’ultimo giorno sono stati discussi e adottati dall’Assemblea quattro documenti piccoli nella forma ma di grande spessore. Due sui cambiamenti climatici e sulla giustizia ambientale, sostenuti e voluti fortemente dai e dalle giovani presenti. Uno sulle migrazioni e i confini violenti dell’Europa, non solo nel Mediterraneo ma anche nella rotta balcanica, con l’invito alle chiese membro della KEK di celebrare un culto dedicato a questo tema domenica 25 giugno. Infine, uno sulla guerra ucraina, che dà sostegno a quanti si stanno spendendo per la verità sulla guerra e per tessere quelle reti che renderanno la pace e la riconciliazione possibile. Immaginare il futuro e costruirlo, alla luce della promessa di Dio, questa è la vocazione che le chiese stanno accettando, con umiltà e coraggio.

Photo: Albin Hillert/CEC