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di Giuseppe Platone

Grado Giovanni Merlo, Frate Francesco, ed. Il Mulino

Un conto è il francescanesimo, un altro è la figura di Francesco. Per capire la distinzione tra il personaggio e il mito che ci è stato costruito sopra può egregiamente aiutarci il recente volume di Grado Giovanni Merlo, Frate Francesco (edito da Il Mulino). Lettura coinvolgente e sviluppata su solide fonti.
Francesco d’Assisi vive in quel secolo XIII così tanto innervato da spinte spirituali che percorrono il corpo molle della cristianità. Spinte tese verso una fede evangelicamente autentica che, sovente, affiorano in movimenti bollati d’eresia.
Poco più che ventenne, benché permeato di cultura cavalleresca e cortese, rampollo di una famiglia agiata, Francesco incontrando i lebbrosi entra in crisi profonda. Si converte al Cristo che stette in mezzo ai lebbrosi. Si consegna completamente a Dio in un rapporto diretto, totale. Questa sua percezione di concretezza della divinità, nella sua straordinaria esperienza religiosa, non lo abbandonerà più.
Come annoterà il suo primo biografo, Tommaso da Celano, udendo le parole che Cristo aveva rivolto ai suoi discepoli, di non possedere oro o argento o denaro, né portare per via bisaccia né sacca, né pane, né bastone, né avere calzari né due tuniche, ma predicare il Regno di Dio e la penitenza, Francesco esclamò:«Questo è ciò che voglio; questo è ciò che chiedo; questo desidero fare con tutto il cuore». E lo farà sino in fondo.

Non aveva cercato i lebbrosi, era Dio che glieli aveva messi sulla strada. Non aveva cercato neppure i fratres (fratelli o frati? Il termine in latino racchiude questa ambivalenza), anche quelli glieli aveva mandati il Signore. Bisognerà stabilire delle regole per vivere insieme, ma l’orizzonte di Francesco non è il chiostro bensì il mondo: o meglio, il mondo è il suo chiostro. Ne attraverserà i confini e andrà persino tra i saraceni. E nell’inverno del 1225 a Greccio ricostruirà, con le persone del posto, la natività di Betlemme. Un pezzo di terra santa in cui scorazzano i crociati in Italia.Come dire che Cristo è là dove ci si trova nel suo nome. Ma è anche presente nei sacri misteri che celebra la chiesa. Nell’eucarestia, nella croce dove «il santissimo corpo e il santissimo sangue» si rendono visibili.

Francesco non è per nulla un eretico rispetto all’ortodossia romana. Il suo vero, grande interlocutore è il papa. Ritiene che dentro la struttura romana si possa vivere la propria esperienza di fede. C’è posto per tutti. Non c’è confliggenza ecclesiologica tra la scelta di povertà e l’obbedienza alla sacra gerarchia anche se, per dirla tutta, la sua radicalità non rendeva facile la vita a nessuno.

Tra gli scritti di Francesco (circa una trentina), di particolare interesse è il Testamentum, scritto due anni prima di morire. Dove emerge lo spessore di tutta la sua vocazione nata dentro la disperazione del mondo (i lebbrosi in mezzo ai quali Dio stesso l’aveva condotto) e formatasi nella dimensione del fare penitenza per poi approdare ad una positività. Francesco lavora e fa lavorare i suoi fratres. Non fugge dal mondo ma lo attraversa come un uomo che serve la sua chiesa. È al servizio degli altri e non vuole dominare le coscienze. È Dio che muove i cuori.
Il Testamentum farà da pendant alle regole dell’ordine fratesco (che verranno approvate dal papa) quasi a garantire per chi verrà uno spazio di evangelismo radicale con un fondamento romano.

Poi muore e da lì è tutta un’altra storia. Il soggetto Francesco diventa oggetto di venerazione, culto e via dicendo. Ogni secolo si è inventato il suo Francesco, la letteratura e la politica faranno il resto. L’autore distingue tra gli scritti di e quelli su Francesco. E ci permette così di cogliere la persona al di là di ciò che, nel corso dei secoli, gli è stato costruito intorno.

Una trentina d’anni prima di Francesco d’Assisi il papa Lucio III condannò i valdesi come eretici. Chi resta dentro, chi resta fuori. I francescani poi vennero usati anche in chiave antiereticale. Differenze e somiglianze tra l’esperienza religiosa di Valdo e quella di Francesco. Il testo di Merlo ci permette di confrontarci con una costruzione veritiera di Francesco d’Assisi fin dove le fonti autobiografiche lo consentono. Abbiamo quindi in mano un distillato di trent’anni di studio del fenomeno Francesco, nella sua esperienza umana e religiosa. Pagine, queste di Merlo, che ci conducono attraverso una straordinaria vicenda spirituale che non stanca di affascinare. Forse il segreto di tanta attrazione sta nel fatto che oggi come nel XIII secolo c’è fame e sete di un evangelo vissuto con passione e radicalità. Così come, dall’altra, c’è nausea di una religione che non vive ciò che annuncia.

1 aprile 2014