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Amare lo straniero come noi stessi

Non c’è separazione tra noi e lo straniero che va amato di un amore sincero e profondo

«Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio».

Levitico 19,33-34

Allora come oggi lo straniero, per l’attualità l’immigrato, è per sua stessa natura un soggetto fragile e può essere una facile preda di coloro che si presentano con un sorriso per poi farne il loro schiavo messo sotto scacco dalle più diverse e bieche forme di ricatto. Dopo il richiamo alla tutela dei diritti dello straniero il testo declina e specifica il tipo di rapporto che bisogna avere tra autoctoni e stranieri. Il principio non è quello della tolleranza, della sopportazione bensì quello della piena accoglienza e integrazione. Non c’è alcun tipo di separazione, lo straniero è al pari di «chi è nato fra voi». E come questo non bastasse, il testo prescrive di amarlo come te stesso; l’amore ha da essere sincero e profondo, non può essere di facciata, d’apparenza. Questo comandamento a riconoscersi come parte della stessa realtà sociale e territoriale ha un doppio autorevole fondamento: la memoria storica e l’essere volontà di Dio. Gli Israeliti patirono con grandi amarezze la condizione di stranieri sfruttati e oppressi in terra d’Egitto; alla luce di quel doloroso ricordo si è chiamati a impedire che la storia si ripeta in un’inversione di ruoli in cui l’oppresso si rende oppressore di colui o colei che ha quale unica “colpa” quella di essere straniero. La memoria diviene il primo deterrente per evitare di esercitare un potere nei confronti di chi si trova in una condizione di debolezza sociale (e non solo). Il Signore è il «vostro» Dio e voi siete il popolo che si è scelto tra le nazioni, sia dunque fatta la sua volontà.

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