ArticoliEvangelici e società

Aldo Cazzullo: “La Bibbia siamo noi”

Intervista al vicedirettore del Corriere della Sera in occasione dell’Avvento

Quest’anno, per il tempo di Avvento, abbiamo dialogato con Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, vicedirettore del Corriere della Sera. Una penna brillante che ci ha dimostrato come le Sacre Scritture non siano solo un testo religioso ma un romanzo epico e una miniera inesauribile di storie che hanno affascinato l’umanità per millenni.

Il suo libro “Il Dio dei nostri padri” è un grande romanzo della Bibbia. Perché proprio la Bibbia?

Nei libri ho sempre cercato di ricostruire l’identità italiana. Ho scritto libri sul Risorgimento, sulla Prima guerra mondiale, sul Fascismo e la Resistenza. Poi sono risalito indietro nel tempo e quindi mi sono occupato di Dante e dell’Impero Romano. A un certo punto mi è sembrato giusto spingermi fino alla Bibbia dove dimorano le radici della nostra cultura giudaico-cristiana. La Bibbia è un testo sacro ma è anche un capolavoro letterario. Come ogni grande storia parla di noi. La Bibbia siamo noi: siamo stati tutti Abele quando abbiamo subito un torto ingiusto; siamo stati tutti Caino quando quel torto lo abbiamo provocato. Siamo stati tutti Davide o Giuditta quando abbiamo affrontato una sfida impossibile, come quella di un pastorello contro un gigante o di una vedova contro il comandante nemico, e magari quella sfida l’abbiamo vinta.

Siamo in Avvento, che per i credenti è un tempo di attesa. Che cosa può significare per chi non crede?

Non opero una linea di demarcazione netta tra coloro che credono e coloro che non credono. Coloro che credono senza dubbi sono pochi, coloro che non credono con assoluta certezza che Dio non esista sono ancora di meno. In mezzo c’è l’umanità, che sicuramente ha perso fede rispetto alla generazione dei nostri padri e dei nostri nonni, ma che comunque quando vuole una risposta alle domande ultime è sempre alla religione che deve rivolgersi. L’Avvento è per me un momento magico, mistico dell’anno così come lo è, in modo forse più breve ma emotivamente intenso, quello della settimana santa, il venerdì santo in particolare.

Dunque non siamo diventati un popolo senza Dio?

Non credo, e questo penso valga anche per gli europei. Certo la religione, talvolta, può diventare un fatto identitario o peggio ancora etnico o nazionalista. Questo è un guaio perché uccidere in nome di Dio significa violare uno dei più sacri dei comandamenti. Allo stesso tempo penso che la religione in generale, e il cristianesimo in particolare, abbiano un grande futuro. La domanda di senso non può prescindere dalla fede o almeno dalla speranza così come qualsiasi speranza in una vita dopo la morte non può prescindere dall’esistenza di Dio. E non parlo di un Dio generico, quello di Voltaire, ma del Dio della Bibbia, un Dio misericordioso che ci ha creati e che ci conosce, che si prende cura di noi calandosi nel solco delle nostre povere vite. Un Dio che ci ama e non ci abbandona nemmeno nel momento della morte.

Lei crede? E come vive il Natale?

Ho avuto una formazione cristiana, mi considero un cristiano ma non sono un praticante e non ho la fede. Sono un uomo che cerca e spera. A me Natale piace: è una festa intrisa di fede e speranza con l’avvento di un bambino che nasce per salvare l’umanità. Sono anni che sento dire che il Natale è sempre più consumista (e in parte lo è) ma non posso non vedere come a Natale ci si adoperi anche per il bene e per l’amore di coloro che ci sono prossimi. A questo proposito vorrei nominare il lavoro dei cristiani per la pace che ritengo molto prezioso: la pace in famiglia, nel nostro paese, nel mondo. Penso al ruolo dei cristiani in Medio Oriente: noi un tempo portavamo la guerra in quei luoghi (pensiamo alle Crociate). Oggi, nonostante tutti i nostri errori di umane creature, c’è uno sforzo per la pace e per il bene comune che viene dal cristianesimo. 

Le chiese si svuotano e anche la partecipazione politica è sempre più scarsa. C’è un legame tra questi due fenomeni?

Sì, credo che oggi prevalga la vita virtuale su quella reale, l’individualismo sulla dimensione collettiva del vivere, il narcisismo sulla vita sociale e l’io sul noi. Vale per i social, per la politica e anche per la chiesa. Ritengo invece che partecipare a un rito collettivo sia una cosa importante: magari non vendica il tuo ego ma aumenta il tuo valore aggiunto, fa stare bene. A me piace andare in chiesa anche se, pur essendo io cattolico, prediligo la forma protestante della preghiera, del raccoglimento piuttosto che la liturgia.

Lei ha scritto un libro su San Francesco. Che cosa lo affascina di questa figura e cosa pensa del ripristino di questa festività?

San Francesco è il santo fondativo dell’identità italiana, dunque è giustissimo, secondo me, ripristinare la festività. Ogni nazione ha il suo santo fondatore, noi abbiamo questo santo della pace e dell’amore che custodisce e ama il creato. Io definisco San Francesco il primo italiano perché è stato il primo a scrivere una poesia in italiano, “Il cantico delle creature”. Egli reinventa il teatro, la pittura ed è il vero precursore dell’umanesimo. Tra l’altro a riscoprire San Francesco fu un pastore protestante, Paul Sabatier. Credo sia una figura capace di mettere in contatto il mondo protestante e quello cattolico. Del resto rischiò di essere considerato un eretico.

Però non mise mai in dubbio né i sacramenti né l’autorità della Chiesa…

Questo è vero. Tuttavia fu additato come un nemico dalla Chiesa; uno che voleva vivere in povertà secondo il Vangelo non era esattamente l’idolo dei Papi del tempo. Penso possa essere una figura affascinante per cristiani e non, per chiunque pensi che l’essere umano sia il riflesso di Dio. 

I libri di Aldo Cazzullo citati nell’intervista sono i seguenti: “Il Dio dei nostri: il grande romanzo della Bibbia”, HarperCollins, 2024 e “Francesco. Il primo italiano”, HarperCollins, 2025. 

Condividi su: