Pastore Sergio Manna*
English version – German version
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Uno dei farisei lo invitò a pranzo; ed egli, entrato in casa del fariseo, si mise a tavola. Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio. Il fariseo che lo aveva invitato, veduto ciò, disse fra sé: «Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice». E Gesù, rispondendo gli disse: «Simone, ho qualcosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di’ pure». «Un creditore aveva due debitori; l’uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. E poiché non avevano di che pagare condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Ritengo sia colui al quale ha condonato di più». Gesù gli disse: «Hai giudicato rettamente». E, voltatosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua, e tu non mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma lei mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; ma lei, da quando sono entrato, non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai versato l’olio sul capo; ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama». Poi disse alla donna: «I tuoi peccati sono perdonati». Quelli che erano a tavola con lui, cominciarono a dire in loro stessi: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace».
Luca 7: 36-50
Care sorelle e cari fratelli,
oggi avremo la gioia di consacrare un nuovo pastore nella nostra Chiesa e di accogliere due pastore provenienti da chiese sorelle che verranno a svolgere il loro servizio qui in Italia.
Trovo perciò bello che il brano biblico che ci viene proposto per la predicazione di oggi dal nostro lezionario riguardi proprio il tema dell’accoglienza.
Come si accoglie Gesù?
Come si viene accolti da lui?
Innanzitutto il Vangelo di oggi ci dice che non basta essere religiosi per accogliere Cristo.
Si può invitare Gesù a casa propria, senza veramente riceverlo.
È ciò che fa qui Simone che lo invita senza però accoglierlo.
Simone è un uomo religioso, ma la sua sembra essere una religiosità fredda, marcata dal pregiudizio, la religiosità di chi ha la pretesa di poter amare Dio senza però amare il prossimo, dalle cui miserie non si lascia toccare.
Simone non sembra credere nella possibilità del ravvedimento o della conversione.
Per lui il mondo si divide in due schieramenti: da un lato i giusti, dall’altro i peccatori.
Per gli uni vi è la benedizione e la ricompensa, per gli altri la maledizione e la condanna.
Essere giusti di fronte a Dio per Simone consiste sicuramente anche nel tenersi a debita distanza dai peccatori, per non lasciarsi toccare e contaminare da loro.
Perciò egli non può che essere deluso dall’atteggiamento di Gesù, un suo correligionario, un maestro, che sembra contraddire apertamente la sua visione della fede.
«Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice», dice dentro se stesso, esprimendo un giudizio negativo tanto su Gesù quanto sulla donna che si è avvicinata a lui in lacrime.
Insomma, o Gesù la pensa come lui, oppure non può essere un profeta.
C’è chi applica, consciamente o inconsciamente, lo stesso ragionamento a Dio; le persone che si illudono che Dio la pensi sempre come loro e che in fondo non si accorgono di essersi fatte un dio a propria immagine e somiglianza e dunque un idolo, un Gott mit uns che non ha nulla a che vedere con il Dio vivente di cui parlano le Scritture.
No, non basta essere religiosi per accogliere Cristo.
Non basta essere religiosi per ricevere il Signore nella propria casa e nella propria vita.
Ma il Vangelo di oggi ci dice anche un’altra cosa importante.
Se è vero che non basta essere religiosi per accogliere Gesù è altrettanto vero che non basta essere peccatori per essere respinti da Cristo.
Al contrario, il primo passo per accogliere il Signore e per essere accolti da lui è riconoscerci per quello che siamo, peccatori e peccatrici, bisognosi di grazia e di redenzione.
Ed è proprio ciò che fa la donna nel nostro racconto.
Il suo linguaggio è muto, ma molto più eloquente di ogni “mea culpa” pronunciato ad alta voce.
Le sue lacrime sono lacrime di pentimento e i suoi gesti sono gesti d’amore.
Questa donna tocca Gesù e Gesù si lascia toccare da lei, sia fisicamente sia emotivamente.
Le sue lacrime non bagnano soltanto i suoi piedi, esse inondano anche il suo cuore.
L’atteggiamento di Gesù è un mirabile esempio di quello che Carl Rogers, padre della psicologia umanistica, definisce accoglienza positiva incondizionata, che in fondo non è altro che un modo laico per esprimere quello che noi, in termini teologici, chiamiamo grazia.
Certo non è mancato chi commentando questo brano del Vangelo si è soffermato sul fatto che questa donna era probabilmente una prostituta (come affermano gli esegeti) e che i gesti da lei compiuti contenessero una certa carica di sensualità.
Sciogliersi i capelli, toccare, accarezzare e baciare i piedi di un uomo in pubblico, erano considerati gesti sconvenienti, appunto degni di una prostituta.
E in fondo, toccare il corpo, accarezzarlo e baciarlo non erano forse i gesti che questa donna adoperava abitualmente con i suoi clienti?
Eppure Gesù non la respinge; la lascia fare.
È probabile che in questa donna, come giustamente afferma il teologo Paul Tillich, siano mescolati, il desiderio spirituale e l’attrazione naturale verso Gesù.
Ma in fondo le motivazioni che spingono gli esseri umani non sono mai del tutto prive di una certa dose di ambiguità.
Ancor di più in una relazione terapeutica in cui si fa l’esperienza di essere accolti, curati, accettati e sostenuti incondizionatamente.
Sono situazioni molto delicate nelle quali possono scattare meccanismi ben noti in ambito psicologico: l’innamoramento verso il terapeuta, il cosiddetto transfert, che va riconosciuto chiaramente e trattato con molto tatto e competenza, onde evitare che la relazione di cura si trasformi in una relazione pericolosa, nella quale il curante finisca per abusare di colei che si è rivolta a lui.
Qui la risposta di Gesù è la risposta del terapeuta o del curatore d’anime che comprende la situazione e non ne abusa, a differenza di non pochi curatori d’anime o terapeuti del nostro tempo.
Gesù comprende questa donna e perciò la lascia fare, accogliendola in maniera incondizionata.
Non si preoccupa neppure per la propria reputazione e sebbene ebreo osservante non manifesta alcun timore di restare contaminato dal contatto fisico con una pubblica peccatrice.
Ed è proprio questo che scandalizza Simone e che probabilmente turberebbe anche molti di noi, se vedessimo questa scena davanti ai nostri occhi oggi.
È vero, probabilmente questa donna si avvicina a Gesù in maniera sensuale, oserei dire erotica; ma quello forse è l’unico linguaggio che conosce per esprimere riconoscenza, per dimostrare amore oppure per manifestarne un disperato bisogno.
E Gesù questo lo capisce, perché legge nel profondo del suo cuore e così, in un istante, vede tutta la sua vita, le sue scelte, le sue motivazioni, tutto ciò che l’ha portata a essere quella che è.
“Questa donna ha molto amato”, dice infatti di lei (v.47).
Si, questa donna ha molto amato. Anche quando ha sbagliato l’obiettivo, anche quando nel suo temperamento generoso e istintivo si è donata agli uomini, probabilmente anche nella ricerca di soddisfare il proprio desiderio di tenerezza, di affetto, di amore.
E forse un giorno, spinta dalla povertà, dall’indigenza, e magari dopo l’ennesima delusione, dopo l’ennesimo scherno da parte dell’ennesimo uomo che si è approfittato di lei, del suo bisogno di amare e essere amata, si è rassegnata ed è passata dal donarsi al vendersi, precipitando sempre più in basso.
Quale che sia la sua storia, quali che siano le motivazioni che l’hanno spinta a diventare quella che è, ora questa donna è lì davanti a Gesù, colui che legge nel suo cuore e che la ama veramente, senza volere nulla in cambio da lei.
Si, in fondo questa donna ha molto amato.
E Gesù vorrebbe che Simone comprendesse, che capisse che è meglio amare, forse anche in modo sbagliato, che essere religiosi e pii, ma pieni di pregiudizi, freddi e indifferenti nei confronti del prossimo.
Per Simone una prostituta è una prostituta.
Come ogni integralista religioso è abituato a vedere il mondo in bianco e nero e a esprimere giudizi immediati e sommari senza addentrarsi nella complessità.
Per Gesù, che è abituato a scandagliare le profondità dell’animo umano, le cose stanno diversamente.
Una prostituta non è semplicemente una prostituta.
È una donna che ha bisogno di amore, di comprensione, di misericordia e di perdono.
Lo sguardo amorevole di Gesù su questa donna è in fondo lo sguardo amorevole di Dio sull’umanità peccatrice, bisognosa di redenzione; uno sguardo che si posa su ciascuno e ciascuna di noi.
A ragione Martin Lutero ebbe a dire una volta:
“I peccatori non sono amati perché sono belli, essi sono belli perché sono amati”.
Gesù dunque invita il religioso Simone a guardare a questa donna con occhi diversi, liberi dal filtro del pregiudizio;
lo invita a osservare la bellezza che si manifesta proprio in quei gesti amorevoli che la donna aveva riservato a Gesù e che a Simone apparivano tanto scandalosi.
Gesù in fondo invita Simone a guardare a questa donna così come lui la guarda, con quello sguardo amorevole che sa riconoscere la bellezza anche in una vita deturpata dal peccato e generare bellezza mediante il perdono, proprio là dove si sarebbe portati a vedere solo bruttezza e perdizione.
In definitiva, Gesù esorta l’uomo che pretende di amare Dio senza amare il prossimo a guardare al prossimo con lo sguardo amorevole di Dio.
No, non basta essere peccatori per essere respinti dal Signore, perché Gesù accoglie con il perdono e con l’amore chiunque venga a lui.
C’è dunque speranza di redenzione per questa donna che sembra aver sbagliato per buona parte della sua vita e che probabilmente si sentiva perduta, facendo proprio il giudizio che altri (in particolare le persone religiose) esprimevano su di lei.
Ma c’è speranza di ravvedimento anche per Simone che viene invitato ad uscire da una religiosità rigida e giudicante per scoprire il volto misericordioso del Dio vivente, così diverso dall’immagine divina monolitica da lui interiorizzata.
Gesù congeda la donna dicendole: “La tua fede ti ha salvata; va in pace!”.
Da un lato possiamo rallegrarci per queste parole che esprimono la certezza della redenzione.
Dall’altro potremmo però esprimere qualche perplessità sulla frase finale: “Va in pace!”
Dove può andare questa donna in una società che probabilmente continuerà a bollarla come pubblica peccatrice? L’unico luogo in cui è ben accolta è la strada, dove ci sono persone come lei, persone che vivono ai margini.
Ciò di cui lei avrebbe bisogno è una comunità che la sappia accogliere, una comunità di donne e uomini la cui religiosità non si esprima nell’esercizio del giudizio sul prossimo, bensì nell’accoglienza; una comunità che non percepisca se stessa come una congregazione di santi che si guarda bene dal mescolarsi con i peccatori, quanto piuttosto come una comunità di peccatori perdonati che sa accogliere e perdonare.
Ma, in verità, questo tipo di comunità è proprio quella che si è riunita fin dall’inizio intorno a Gesù Cristo.
E questo tipo di comunità è in fondo ciò che è chiamata ad essere ogni Chiesa che voglia fondarsi su Cristo e sul Vangelo.
Un luogo in cui questa donna, e tutte quelle come lei, possano sentirsi benvenute, accolte, amate, finalmente a casa.
Questa, caro Giovanni, è ciò che dovrebbe essere questa Chiesa Valdese che tu sei chiamato a servire e che oggi ti consacrerà quale suo pastore;
questa la chiesa che oggi accoglierà il vostro servizio pastorale, care Sarah e Adriana.
Non è una Chiesa perfetta, non è una comunità che brilli per la propria santità;
è una comunità di peccatrici e peccatori perdonati che sempre di nuovo hanno bisogno di ravvedimento, di conversione e di affidarsi alla grazia immeritata del Signore che li ama non perché siano belli, ma che li rende belli perché li ama.
Il mio augurio per voi è che possiate amare questa chiesa e sentirvi amati e accolti da essa.
Possa il vostro servizio essere benedetto dal Signore, possa il vostro annuncio del Vangelo, nelle parole e nei gesti, trasmettere efficacemente l’amore Dio per questo mondo che ha un disperato bisogno di redenzione.
Amen
*Il testo che pubblichiamo è il sermone del culto che ha aperto la sessione del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, a Torre Pellice, domenica 20 agosto.
Sermon during the Opening Service of the Italian Session of Synod 2023
Text – Luke 7: 36 – 50
Rev. Sergio Manna
One of the Pharisees asked him to eat with him, and he went into the Pharisee’s house, and took his place at table. And behold, a woman of the city who was a sinner, when she learned that he was at table in the Pharisee’s house, brought an alabaster flask of ointment, and standing behind him at his feet, weeping, she began to wet his feet with her tears, and wiped them with the hair of her head, and kissed his feet and anointed them with the ointment.
Now when the Pharisee who had invited him saw it, he said to himself, “If this man were a prophet, he would have known who and what sort of woman this is who is touching him, for she is a sinner.” And Jesus, answering, said to him, “Simon, I have something to say to you.” And he answered, “What is it, Teacher?”
“A certain creditor had two debtors; one owed five hundred denarii, and the other fifty. When they could not pay, he forgave them both. Now which of them will love him more?” Simon answered, “The one, I suppose, to whom he forgave more.” And he said to him, “You have judged rightly.”
Then turning towards the woman, he said to Simon, “Do you see this woman? I entered your house, you gave me no water for my feet, but she has wet my feet with her tears and wiped them with her hair. You gave me no kiss, but from the time I came in she has not ceased to kiss my feet. You did not anoint my head with oil, but she has anointed my feet with ointment. Therefore, I tell you, her sins, which are many, are forgiven, for she loved much; but he who is forgiven little, loves little.”
And he said to her, “Your sins are forgiven.”
Then those who were at table with him began to say among themselves, “Who is this, who even forgives sins?”
And he said to the woman, “Your faith has saved you; go in peace.”
He said to Simon, “Do you see this woman?”
Dear sisters and brothers,
Today we have the joy of ordaining a new pastor in our Church, and of welcoming two pastors who come to us from sister churches in order to serve and minister with us here in Italy. So it is, I believe, particularly appropriate that our Lectionary today offers us a Biblical text, as a basis for the sermon, which looks at the theme of ‘welcome’.
How do we welcome Jesus? How are we welcomed by Jesus? Well, for a start, the Gospel text today tells us quite plainly that it is not enough to be religious in order truly to welcome Christ. We see from our text that is possible to invite Jesus into our homes without truly receiving him.
And that which Simon does here is precisely that! He invites Jesus, but does not welcome him.
Simon is a religious man, but his ‘religiosity’ seems be a cold one, marked by prejudice; it is the religiosity of someone who claims to be able to love God without loving his neighbour, the neighbour whose miseries and misfortunes are not allowed to touch him. Simon, it seems, does not believe in the possibility of either repentance or conversion. For him the world is divided into two opposing camps: on one side the ‘just’, on the other the ‘sinners’. For the former there will be blessings and recompense, whereas for the latter there will be cursing and condemnation.
Being ‘justified’ before God would seem to Simon to include also making sure of staying well clear of ‘sinners’, so as not to be touched and contaminated by them. Therefore, he cannot but feel a sense of delusion at the way Jesus behaves. Here is someone who ought to be a ‘co- religionist’, a teacher, even! Yet he sets about openly contradicting Simon’s vision of what it is to be a person of faith. “If this man were a prophet, he would have known who and what sort of woman this is who is touching him, for she is a sinner.” Simon expresses a negative judgement both against Jesus and against the woman who has come to him in tears. Obviously, thinks Simon, either Jesus will believe as I do or he is not a real prophet.
There are those who follow the same line of argument concerning God the Father, illuding themselves that God obviously thinks always as they do; they fail to realise that they have thereby created a god in their own image and likeness which is, therefore, an idol, a “God with us (Gott mit uns in German) which has nothing to do with the Living God who speaks to us from the pages of scripture. No, indeed, it is not enough to be ‘religious’ in order to welcome Christ! It is not enough simply to be religious in order to receive the Lord into one’s home and into one’s life.
But today’s Gospel text also tells us something else important: if it true that being religious is not enough to welcome Jesus, it is equally true that being a sinner is not enough to find oneself rejected by Jesus. On the contrary, the first step on the road to welcoming the Lord and being welcomed by the Lord is to recognise ourselves for what we truly are: sinners in need of grace and redemption.
And this is precisely what the woman in our text does. She remains silent in terms of speech, but she is very much more eloquent in terms of action than any spoken “mea culpa” would have been, no matter how loudly proclaimed. Her tears are tears of repentance, and her gestures are those of love. This woman touches Jesus and Jesus allows himself to be touched, both physically and emotionally. Her tears not only wash his feet but flood into his heart. Jesus’ behaviour is a perfect example of what Carl Rogers, father of humanist psychology, calls “positive unconditional welcome”, which, when all is said and done, is nothing other than a non- theological term for what we call ‘grace’.
There have been many down the years who have commented on the probability that this woman was a prostitute (as many exegetes have maintained) and that her actions towards Jesus contained a certain degree of sensuality. To untie one’s hair, to touch, caress and kiss the feet of a man in public would have been regarded as exactly what to expect from a prostitute. Indeed, if she was a prostitute, then touching, caressing and kissing the body of her clients would have been among her habitual activities. And yet Jesus allows her to do all this to him. Paul Tillich may well be correct in saying that spiritual desires and natural attraction to Jesus are both at work in her. And if we are honest, is it not true to say that human motivations are never entirely without a certain degree of ambiguity?
And that may be even more the case in a therapeutic relationship in which the experience is one of being welcomed, cared for, accepted and sustained unconditionally. These are very delicate situations in which mechanisms well known within psychological studies are often released: falling in love with the therapist, seeing the therapist as a replacement parent figure (‘transfert’), something which needs to be handled with great tact and competence, so as to avoid the professional relationship becoming something dangerous which may even lead to abuse of the psychologist’s client. In our text, Jesus’ response to the woman is that of a true therapist, or carer of souls, who understands the situation and does not in any way abuse the ‘client’, unlike not a few who have been called to be carers of souls or therapists in our own age!
Jesus understands this woman, and therefore allows her to act in her chosen way; he welcomes her unconditionally. He does not seem to be concerned about his own reputation, and although he is an observant Jew, living in a Jewish society, he does not show any fear of being ‘contaminated’ by this physical contact with the ‘sinful’. And it is this which scandalizes Simon. And, if we were honest with ourselves, would we not have to admit that we, too, would be very discomfited, if we were to see such a thing happening before our own eyes? This woman may well have approached Jesus in a sensual, perhaps even an ‘erotic’ manner; but perhaps this is the only language she knows in which she may express herself freely, and through which she may express her recognition of who Jesus is, to show him love, and to display her own desperate need.
And Jesus sees the woman, sees what she is doing, and understands; he enters into the depths of her being, and sees her life, her past decisions, her motivations, everything which has brought her to be what she is in that moment.
“She loved much” (v. 47)
That is what Jesus says about this woman.
Yes indeed! This woman has loved much, even when she has been mistaken in her methods and motives, even when she has generously given of herself to men (something instinctive, perhaps) in the search to satisfy her desire for tenderness, affection and love. Perhaps one day, forced by poverty, homelessness or the umpteenth man who had used and abused her and her need to love and be loved, she gave up the struggle and passed from being one who gave of herself to being one who sold herself, and on into an ever downward spiral…. Whatever had been her story, whatever had been her motivations which had led her to becoming what she was at that precise moment, now this woman stands before Jesus, before him who reads her heart and loves her truly, without wanting anything in return.
Yes, it has to be said that this woman has loved much. And Jesus wants Simon to comprehend, to understand that it is better to love, even in a mistaken manner, than it is to be religious and pious yet prejudiced, cold, and indifferent to the needs of the neighbour. For Simon, a prostitute is a prostitute. In common with all religious integralists (who wish to make everyone conform to their particular understanding of God) he is used to seeing the world in black and white, and used to expressing immediate and summary verdicts without bothering to enter into complexities. But Jesus, who is used to plumbing the depths of the human souls whom he meets in his ministry, sees things differently. For Jesus a prostitute is not simply and only a prostitute. Before him is a woman who has need of love, of comprehension, of mercy and of forgiveness. Jesus looks lovingly at this woman; and his is, fundamentally, the same look of love as that with which God sees sinful humanity, humanity in need of redemption; it is a look which encompasses each and every one of us here today.
Martin Luther once said: “Sinners are not loved because they are beautiful; they are beautiful because they are loved.” Jesus invites religious Simon to look at this woman with different eyes, freed from the filter of prejudice. He invites Simon to observe the beauty which has been shown in those loving gestures which the woman had reserved for Jesus, gestures which Simon regarded as scandalous. Jesus invites Simon to look at the woman in the same way that he, Jesus, looks at the woman, with that loving look which recognises the beauty, even in a life which has been disfigured by sin, and which generates true beauty by means of the act of forgiveness, precisely where Simon would prefer to see only ugliness and ruin. To sum up: Jesus exhorts the man who would claim to love God without loving his neighbour to look at his neighbour with the loving eyes of God.
No, being a sinner is not enough to find oneself rejected by Jesus, because Jesus welcomes with forgiveness and with love whomever would come to him.
So there is hope of redemption for this woman who seems to have made such a mess of much of her life, who may well have felt lost and hopeless, accepting the judgement of those around her – and particularly the judgement of religious people. But there is also some hope of repentance for Simon, who is invited by Jesus to move out of his rigid and judgemental religiosity and discover for himself the merciful face of the Living God, so different from the monolithic image he has built up in his imagination.
Jesus sends the woman on her way with these words: “Your faith has saved you; go in peace.” On the one hand we may rejoice at these words which express the certainty of redemption. But on the other hand, may we not also express some perplexity at the words “go in peace”? Where shall this woman go to find peace in a society which will in all probability continue to regard her as a notorious sinner? The only place where she is welcome is on the street, with other social outcasts, people, like her, who are at society’s margins. What this woman really needs is a community which knows how to welcome, a community of women and men whose ‘religiosity’ does not express itself in exercising judgements against its neighbours, but in welcoming them; a community which does not regard itself as a congregation of saints who are wary of mixing with sinners but as a community of forgiven sinners who have learned how to welcome and forgive. And in truth, was this not the type of community which found itself united from the start around Jesus Christ? And is this not, fundamentally, the sort of community which every Church wishing to base itself on Christ and the Gospel is called to be: a place where this woman, and all like her, may feel welcomed, loved, and finally at home?
Dear Giovanni, this is precisely what the Waldensian Church ought to be; this ought to be an image of the Church which you have been called to serve, and into whose ministry we today ordain you; this also ought to be the Church which welcomes you and your ministry as pastors, dear Sarah and Adriana.
This Church is not perfect; it is not a Church which shines with its own holiness; it is, rather, a community, a fellowship, of forgiven sinners, which has always need of repentance and of conversion, and must entrust itself to the unmerited grace of the Lord who loves us, not because we are beautiful but because it is his love which makes us beautiful.
My hope for you all is that you will love this Church and, in turn, feel loved and welcomed by it. May your service be blessed by the Lord, and may your witness to the Gospel, in word and in deed, efficaciously communicate the love of God for this world, which has such a desperate need of redemption. Amen
Gottesdienst zur Eröffnung der Synode im August 2023 – Predigt zu Lukas 7,36-50
Pfr. Sergio Manna
Es bat ihn aber einer der Pharisäer, bei ihm zu essen. Und er ging hinein in das Haus des Pharisäers und setzte sich zu Tisch. Und siehe, eine Frau war in der Stadt, die war eine Sünderin. Als die vernahm, dass er zu Tisch saß im Haus des Pharisäers, brachte sie ein Glas mit Salböl und trat von hinten zu seinen Füßen, weinte und fing an, seine Füße mit Tränen zu benetzen und mit den Haaren ihres Hauptes zu trocknen, und küsste seine Füße und salbte sie mit Salböl. Als aber das der Pharisäer sah, der ihn eingeladen hatte, sprach er bei sich selbst und sagte: Wenn dieser ein Prophet wäre, so wüsste er, wer und was für eine Frau das ist, die ihn anrührt; denn sie ist eine Sünderin. Jesus antwortete und sprach zu ihm: Simon, ich habe dir etwas zu sagen. Er aber sprach: Meister, sag es! Ein Gläubiger hatte zwei Schuldner. Einer war fünfhundert Silbergroschen schuldig, der andere fünfzig. Da sie aber nicht bezahlen konnten, schenkte er’s beiden. Wer von ihnen wird ihn am meisten lieben? Simon antwortete und sprach: Ich denke, der, dem er am meisten geschenkt hat. Er aber sprach zu ihm: Du hast recht geurteilt. Und er wandte sich zu der Frau und sprach zu Simon: Siehst du diese Frau? Ich bin in dein Haus gekommen; du hast mir kein Wasser für meine Füße gegeben; diese aber hat meine Füße mit Tränen benetzt und mit ihren Haaren getrocknet. Du hast mir keinen Kuss gegeben; diese aber hat, seit ich hereingekommen bin, nicht abgelassen, meine Füße zu küssen. Du hast mein Haupt nicht mit Öl gesalbt; sie aber hat meine Füße mit Salböl gesalbt. Deshalb sage ich dir: Ihre vielen Sünden sind vergeben, denn sie hat viel Liebe gezeigt; wem aber wenig vergeben wird, der liebt wenig. Und er sprach zu ihr: Dir sind deine Sünden vergeben. Da fingen die an, die mit zu Tisch saßen, und sprachen bei sich selbst: Wer ist dieser, der auch die Sünden vergibt? Er aber sprach zu der Frau: Dein Glaube hat dir geholfen; geh hin in Frieden!
Liebe Schwestern und Brüder,
heute werden wir das Vergnügen haben, einen neuen Pfarrer in unserer Kirche zu ordinieren und zwei Pfarrerinnen willkommen zu heißen, die aus Schwesterkirche zu uns kommen, um ihren Dienst hier in Italien zu tun.
Daher finde ich es schön, dass der Abschnitt aus der Bibel, den uns die Perikopenordnung für die heutige Predigt vorschlägt, just das Thema Willkommenheißen behandelt.
Wie empfängt man Jesus? Wie wird man von ihm empfangen?
Zunächst einmal sagt uns das heutige Evangelium, dass es nicht ausreicht, religiös zu sein, um Christus zu empfangen. Man kann Christus zu sich nach Hause einladen, ohne in wirklich zu empfangen. Genau das tut Simon, der ihn einlädt, ohne ihn jedoch anzunehmen.
Simon ist ein religiöser Mensch, aber seine Religiosität scheint kalt zu sein, geprägt von Vorurteilen. Es ist eine Religiosität, die den Anspruch hat, Gott zu lieben, allerdings ohne den Nächsten zu lieben, von dessen Nöten sie sich unbeeindruckt zeigt.
Simon scheint Reue und Umkehr nicht als Möglichkeiten auf dem Schirm zu haben. Für ihn teilt sich die Welt in zwei Lager: auf der einen Seite die Gerechten; auf der anderen die Sünder. Für die einen gibt es Segen und Belohnung; für die anderen Verfluchung und Verdammung. Vor Gott gerecht zu sein besteht für Simon sicher auch darin, von Sündern Abstand zu halten, um sich von ihnen nicht berühren und unrein machen zu lassen. Daher kann er nur mit Enttäuschung reagieren auf die Einstellung Jesu, eines Glaubensbruders, eines Meisters, der seiner Glaubensvorstellung offen zu widersprechen scheint.
«Wenn dieser ein Prophet wäre, so wüsste er, wer und was für eine Frau das ist, die ihn anrührt; denn sie ist eine Sünderin.», spricht er bei sich selbst und verurteilt damit sowohl Jesus als auch die Frau, die sich ihm mit Tränen in den Augen genähert hat.
Kurzum: entweder denkt Jesus so wie er oder aber er kann kein Prophet sein.
Es gibt diejenigen, die bewusst oder unbewusst die gleichen Überlegungen auf Gott anwenden; Leute, die sich einbilden, Gott denke immer so wie sie, und die im Grunde nicht erkennen, dass sie einen Gott nach ihrem eigenen Ebenbild und Abbild geschaffen haben und damit einen Götzen, einen „Gott mit uns“, der nichts mit dem lebendigen Gott zu tun hat, von dem die Heilige Schrift spricht.
Nein, religiös zu sein genügt nicht, um Christus zu empfangen. Es reicht nicht aus, religiös zu sein, um den Herrn bei sich zuhause und im eigenen Leben aufzunehmen.
Aber das Evangelium von heute sagt uns noch etwas anderes Wichtiges.
Wenn es stimmt, dass es nicht ausreicht, religiös zu sein, um Jesus anzunehmen, stimmt es auch, dass es nicht ausreicht, Sünder zu sein, um von Christus abgewiesen zu werden.
Ganz im Gegenteil: Der erste Schritt, um den Herrn zu empfangen und von ihm empfangen zu werden, besteht darin, uns selbst als das zu erkennen, was wir sind: Sünderinnen und Sünder, die bedürftig sind nach Gnade und Erlösung.
Und genau das tut die Frau in unserer Erzählung. Ihre Sprache ist still, aber viel aussagekräftiger als jedes laut ausgesprochene „mea culpa“.
Ihre Tränen sind Tränen der Reue, ihre Gesten sind Gesten der Liebe. Diese Frau rührt Jesus an und Jesus lässt sich von ihr anrühren, sowohl körperlich als auch emotional. Ihre Tränen benetzen nicht nur seine Füße, sie überschwemmen auch sein Herz.
Das Verhalten Jesu ist ein wundervolles Beispiel für das, was Carl Rogers, der Vater der Humanistischen Psychologie, als bedingungslose positive Wertschätzung definiert, was im Grunde nichts anderes ist als ein säkularer Versuch, das auszudrücken, was man in theologischem Sprachgebrauch Gnade nennt.
Sicherlich gab es diejenigen, die beim Auslegen dieses Abschnitts aus dem Evangelium darauf hingewiesen haben, dass diese Frau wahrscheinlich eine Prostituierte war (wie die Exegeten behaupten) und dass ihre Gesten eine gewisse Sinnlichkeit aufwiesen.
Das Lösen der Haare, das Berühren, Streicheln und Küssen der Füße eines Mannes in der Öffentlichkeit galten als unangemessene – eben einer Prostituierten würdige – Gesten. Und waren das Berühren, Streicheln und Küssen des Körpers nicht letzten Endes gerade dieselben Gesten, die diese Frau normalerweise gegenüber ihren Kunden anwendete? Und dennoch weist Jesus sie nicht zurück: er lässt sie machen.
Es ist wahrscheinlich, dass sich in dieser Frau, wie der Theologe Paul Tillich zu Recht feststellt, spirituelles Verlangen und natürliches Hingezogensein zu Jesus vermischen.
Grundsätzlich sind ja die Motivationen, die den Menschen antreiben, nie ganz frei von einer gewissen Ambiguität.
Dies gilt umso mehr in einer therapeutischen Beziehung, in der man die Erfahrung macht, willkommen, umsorgt, akzeptiert und bedingungslos unterstützt zu werden.
Es sind sehr heikle Situationen, in denen Mechanismen ausgelöst werden können, die im psychologischen Bereich wohlbekannt sind: das Sich-in-den-Therapeuten-Verlieben, die sogenannte Übertragung, die klar erkannt und mit viel Fingerspitzengefühl und Kompetenz behandelt werden muss, um zu verhindern, dass die therapeutische Beziehung zu einer gefährlichen Beziehung wird, in welcher der Behandelnde letzten Endes die Person, die sich an ihn gewandt hat, ausnutzt.
Hier ist die Antwort Jesu gewissermaßen die Antwort des Therapeuten oder Seelenheilers, der die Situation versteht und sie nicht ausnutzt, im Unterschied zu nicht wenigen Seelenheilern oder Therapeuten unserer Zeit. Jesus versteht diese Frau und deshalb lässt er sie tun, indem er sie bedingungslos willkommen heißt.
Er macht sich nicht einmal Sorgen um seinen eigenen Ruf, und gleichwohl er ein praktizierender Jude ist, sendet er keine Anzeichen von einer Angst, durch körperlichen Kontakt mit einer öffentlichen Sünderin unrein zu werden.
Es ist exakt das, was in Simon Empörung hervorruft und was wahrscheinlich auch viele von uns verstören würde, sähen wir diese Szene heute vor unseren Augen.
Zugegeben, diese Frau nähert sich Jesus wahrscheinlich auf sinnliche – ich wage zu sagen: erotische – Weise. Nun, das ist möglicherweise die einzige Sprache, die sie kennt, um Dankbarkeit auszudrücken, Liebe zu zeigen oder einem verzweifelten Bedürfnis Ausdruck zu verleihen.
Und Jesus versteht das, weil er in den Tiefen ihres Herzens liest und so in einem Augenblick ihr ganzes Leben sieht, ihre Entscheidungen, ihre Beweggründe, alles, was sie zu dem gemacht hat, was sie ist.
„Diese Frau hat viel geliebt“, sagt er über sie (V. 47). Ja, diese Frau hat sehr viel geliebt. Auch wenn sie das Ziel verfehlte, auch wenn sie sich in ihrem gönnerhaften und instinktiven Temperament den Männern hingab, wohl nicht zuletzt auch auf der Suche nach der Befriedigung ihres eigenen Verlangens nach Zärtlichkeit, Zuneigung und Liebe.
Und vielleicht gab sie eines Tages, getrieben von Armut und Bedürftigkeit und vielleicht als Konsequenz einer weiteren Enttäuschung, eines weiteren Spottes eines weiteren sie ausnutzenden Mannes auf. Vielleicht gab sie nach und ging, getrieben vom eigenen Bedürfnis zu lieben und geliebt zu werden, von der Hingabe zum Selbstverkauf über, wodurch sie tiefer und tiefer fiel.
Was auch immer ihre Geschichte war, was auch immer die Beweggründe waren, die sie zu dem gemacht haben, was sie ist, jetzt steht diese Frau vor Jesus, der in ihrem Herzen liest und sie wirklich liebt, ohne von ihr eine Gegenleistung zu wollen.
Ja, tatsächlich hat diese Frau viel geliebt.
Und Jesus möchte, dass Simon versteht, dass es besser ist zu lieben, vielleicht sogar auf die falsche Weise, als religiös und fromm sein, aber voller Vorurteile, kalt und gleichgültig gegenüber dem Nächsten. Für Simon ist eine Prostituierte eine Prostituierte.
Wie jeder religiöse Fundamentalist ist er es gewohnt, die Welt in Schwarz-Weiß zu sehen und voreilige und grundsätzliche Urteile zu äußern, ohne sich mit der Komplexität auseinanderzusetzen.
Für Jesus, der es gewohnt ist, die Tiefen der menschlichen Seele auszuloten, liegen die Dinge anders. Eine Prostituierte ist nicht gleich eine Prostituierte. Sie ist eine Frau mit einem Bedürfnis nach Liebe, Verständnis, Barmherzigkeit und Vergebung.
Der liebevolle Blick Jesu auf diese Frau ist im Grunde der liebevolle Blick Gottes auf die sündige, erlösungsbedürftige Menschheit; ein Blick, der auf jedem einzelnen von uns ruht.
Aus gutem Grund sagte Martin Luther einmal: „Darum nämlich, weil sie geliebt werden, sind die Sünder ‚schön‘, nicht aber werden sie geliebt, weil sie ‚schön‘ sind.“
Jesus lädt also den religiösen Mann namens Simon ein, diese Frau mit anderen Augen zu betrachten, frei vom Filter der Vorurteile; er lädt ihn ein, die Schönheit zu beobachten, die sich gerade in den liebevollen Gesten äußert, die die Frau Jesus vorbehalten hatte und die Simon so skandalös erschienen waren. Im Grunde lädt Jesus Simon ein, diese Frau so anzusehen, wie er sie ansieht, mit diesem liebevollen Blick, der es versteht, Schönheit auch in einem von Sünde entstellten Leben zu erkennen und Schönheit durch Vergebung zum Vorschein zu bringen, genau dort, wo man sonst nur Hässlichkeit und Verderben sehen würde.
Letztendlich ermahnt Jesus den Mann, der behauptet, Gott zu lieben, ohne seinen Nächsten zu lieben, seinen Nächsten mit dem liebevollen Blick Gottes anzusehen.
Nein, es reicht nicht aus, Sünder zu sein, um vom Herrn abgelehnt zu werden, denn Jesus empfängt jeden, der zu ihm kommt, mit Vergebung und Liebe.
Es besteht also Erlösungshoffnung für diese Frau, die offenbar einen Großteil ihres Lebens verfehlt hat und die sich wahrscheinlich verloren fühlte und sich das Urteil zu eigen machte, das andere (insbesondere religiöse Menschen) über sie trafen.
Aber es gibt Hoffnung auf Reue auch für Simon, der aufgefordert wird, aus einer starren und verurteilenden Religiosität herauszukommen, um das barmherzige Antlitz des lebendigen Gottes zu entdecken, das sich so sehr von dem monolithischen Gottesbild unterscheidet, das er verinnerlicht hat.
Jesus entlässt die Frau und sagt zu ihr: „Dein Glaube hat dir geholfen; geh hin in Frieden!”.
Einerseits können wir uns über diese Worte freuen, die Erlösungsgewissheit ausdrücken.
Der Schlusssatz „Geh hin in Frieden!“ könnte uns andererseits auch etwas ratlos machen.
Wohin sollte diese Frau denn gehen können in einer Gesellschaft, die sie wahrscheinlich weiterhin als öffentliche Sünderin brandmarken wird? Der einzige Ort, an dem sie willkommen ist, ist die Straße, wo es Menschen wie sie gibt, Menschen, die am Rande leben.
Was sie bräuchte, ist eine Gemeinschaft, die Sie anzunehmen vermag, eine Gemeinschaft von Männern und Frauen, deren Religiosität sich nicht im Verurteilen des Nächsten äußert, sondern im Willkommenheißen; eine Gemeinschaft, die sich nicht als eine Gemeinde von Heiligen versteht, die darauf achtet, sich nicht mit Sündern zu vermischen, sondern als eine Gemeinschaft vergebener Sünder, die es versteht, willkommen zu heißen und zu vergeben.
Tatsächlich ist es ja genau diese Form der Gemeinschaft, die sich von Anfang an um Jesus Christus versammelt hat. Und zu dieser Art von Gemeinschaft ist im Grunde jede Kirche berufen, die sich auf Christus und das Evangelium gründen möchte.
Ein Ort, an dem diese Frau und alle mit ihr Vergleichbaren sich herzlich willkommen, angenommen, geliebt, ja, schlussendlich zu Hause fühlen können mögen.
Das, lieber Giovanni, ist es, was diese Waldenserkirche sein sollte, zu deren Dienst du berufen bist und die dich heute zu ihrem Pfarrer ordinieren wird; dies ist die Kirche, die heute euren pastoralen Dienst willkommen heißen wird, liebe Sarah und Adriana.
Es ist keine perfekte Kirche, es ist keine Gemeinschaft, die durch ihre eigene Heiligkeit glänzt; Es ist eine Gemeinschaft vergebener Sünderinnen und Sünder, die jederzeit von Neuem Buße, Umkehr und Hingabe an die unverdiente Gnade des Herrn brauchen, der sie liebt, nicht weil sie schön sind, sondern der sie schön macht, weil er sie liebt.
Ich wünsche euch, dass ihr diese Kirche lieben lernen euch von ihr geliebt und willkommen fühlen könnt.
Möge euer Dienst vom Herrn gesegnet werden, möge eure Evangeliumsverkündigung in Wort und Tat Gottes Liebe weitertragen in diese Welt, die sich so verzweifelt sehnt nach Erlösung.