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di Alessandro Esposito

«Andarono a Cafarnao e, entrato nell’assemblea (…) Gesù si mise ad insegnare» (Marco 1:21)


Quella dell’insegnamento, a detta di tutti i vangeli, fu l’attività che maggiormente coinvolse Gesù. Ma in che cosa consisteva, esattamente? Per lo più nel commento delle Scritture della tradizione ebraica, quelle stesse che come chiese cristiane abbiamo poi ereditato. Gesù aveva un modo assai proprio di interpretarle, avvalendosi, il più delle volte, di quegli affreschi straordinari che chiamiamo parabole, le quali consistono nell’esercizio attivo della creatività, richiesto sia a chi le inventa e le racconta, sia a chi le ascolta.

Gesù, in definitiva, svolgeva quello che in lingua ebraica si chiama un midrash, un commento: parola che proviene dalla radice darash, che significa cercare, interrogare. Ma da questa stessa radice proviene anche il termine derashah, «preghiera»: perché sia chi studia, sia chi prega, in realtà ricerca; questo è ciò che accomuna due attività che, sebbene distinte, sono profondamente legate l’una all’altra. Per ciò che attiene all’indagine incessante delle Scritture e a quella intimamente correlata dell’animo umano di cui esse narrano e a cui si rivolgono, preghiera e studio si alimentano l’uno dell’altra.

La capacità di riflettere e quella di emozionarci rappresentano le due componenti fondamentali del nostro essere umani: compito arduo ma indispensabile, di estrema delicatezza, è imparare a non dissociarle. Dobbiamo apprendere l’arte di una riflessione capace di emozionare, per non dimenticare mai che emozione e riflessione, se non vivono in un rapporto di costante e reciproca sollecitazione, si rivelano sterili.

Di questo si incarica la meditazione, paziente lavoro di educazione del cuore alla riflessione, che si alimenta, insieme, di studio e di preghiera. Se riusciremo nel difficile compito di intrecciare insieme pensiero ed emozione, di consentire quel continuo sconfinamento dell’uno nell’altra, saremo capaci di avventurarci nel testo biblico come nel luogo della continua, inesausta scoperta di noi.