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di Ulrike Jourdan

Cristo dice: «Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades»

In questo versetto sono i tempi verbali ad essere interessanti: all’inizio il passato, poi il presente, infine lo sguardo verso il futuro. 

Cristo dice: Io ero morto, ed ecco, io sono vivo. La Pasqua conclude una storia lunga e dolorosa. È la storia del potere ininterrotto della morte. E poi dalla sera al mattino tutto è cambiato. Ieri era buio, oggi c’è luce. E domani? Domani sarà vita eterna, una vita che non passerà mai. 

Ma perché esiste ancora la morte e continua a pesare? Perché esiste ancora la malattia, la guerra, il dolore? Perché la nostra vita di oggi non è ancora quella del futuro che ci è promesso?

Nella sua morte e risurrezione Cristo ha fatto il primo passo verso questo futuro. Talvolta possiamo già percepire che i nostri piedi stanno su una terra nuova, sulla terra del Regno. Talvolta riusciamo a respirare il soffio vitale di Dio. Talvolta possiamo sentire la grande speranza che ci offre Dio. 

Però non siamo ancora arrivati alla meta. La sofferenza e la morte rimangono e continuano a fare male. La terra di oggi non è ancora quella del futuro. Non viviamo ancora nella Gerusalemme celeste e non camminiamo ancora sulle strade d’oro. Il nostro primo passo con Cristo nel viaggio di Pasqua non può essere l’ultimo. C’è ancora tanta strada polverosa da affrontare, anche se Cristo ha spianato la strada, cammina accanto a noi e tiene fermamente le chiavi della morte mentre camminiamo. 

Chi può credere che seguirà al buon inizio anche un buon fine, ha già vinto una vita buona. E nell'ora buia della morte può essere certo che la luce della vita brillerà.