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di Pawel Gajewski

«Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia»

Pienezza (pleroma) e grazia (charis) sono i due concetti centrali di questo versetto. Il termine “pleroma” veniva usato dallo gnosticismo per designare la sfera cosmica mediatrice fra l'assoluta realtà del principio divino e l'assoluta irrealtà della materia. Il pleroma costituiva il complemento dell'intervallo separante quelle due opposte zone dell'universo, e si contrapponeva nella sua "pienezza" alla "vuotezza" della sfera materiale, designata perciò col corrispondente nome di “kenoma”. L’abbinamento dei due termini, pienezza e grazia, tuttavia cambia radicalmente il significato del primo, spostandolo dalla sfera filosofica a quella esistenziale. Così la pienezza in questo brano di Giovanni significa la pienezza della grazia, un dono gratuito che riempie ogni sorta di vuoto esistenziale che un essere umano possa sperimentare.

Lo spessore del messaggio si rende visibile anche attraverso i due termini secondari: “tutti” e “ricevere”. Il dono della grazia non è elargito soltanto a chi è cristiano, tale dono è offerto gratuitamente a tutti (pantes). In alcuni ambienti cristiani questa verità fondamentale della fede non viene digerita tanto facilmente. A qualcuno piacerebbe amministrare o somministrare la grazia di Dio secondo i criteri umani. Per fortuna, ogni tentativo di questo genere è destinato a fallire prima o poi.

Il vero problema è invece la capacità di ricevere. La cultura occidentale contemporanea fondata sostanzialmente sul commercio ha indebolito la dimensione della gratuità per abituarci a un continuo scambio. Ogni dono va ricambiato; non importa se si tratta di un bene materiale o di una dimostrazione di affetto o di solidarietà. Così va a finire che per ogni cosa si stabilisce un prezzo da pagare. Dio, invece, nella sua pienezza e nella sua generosità ci libera da ogni debito e da ogni obbligo nei suoi confronti.