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di Nicola Tedoldi

«Il carceriere disse: “Signori che debbo fare per essere salvato?”»

Ecco il carcere come luogo di conversione che vede protagonista il carceriere di Paolo e Sila e di altri rinchiusi nella stessa prigione. Dopo il terremoto che apre le porte e alla paura che coglie il carceriere che tenta di togliersi la vita per non aver saputo custodire i prigionieri, risuona la parola di Paolo: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». Infatti nessuno è fuggito e il carceriere non deve temere la pena inflitta a chi si lascia scappare i prigionieri. Di fronte alla speranza offertagli da Paolo e Sila, il carceriere rivolge loro la domanda a cui ognuno di noi vorrebbe ricevere risposta: «cosa devo fare per essere salvato?».

Una parola viene rivolta a quell’uomo e a noi: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato!». Una parola che ci dice che ci può essere salvezza anche laddove non c’è libertà e che la salvezza passa attraverso una conversione. Credere al Signore Gesù significa abbandonare la propria vecchia umanità per rinascere di nuovo ed indossare le armi della luce. Il nostro impegno come cristiani e cristiane è quello di portare a tutti coloro che sono carcerieri di se stessi, a tutti coloro cioè che tengono imprigionata la loro umanità al servizio dei delitti commessi, una Parola che salva, una Parola che si fa vicino e che visita, una Parola che ci strappa dall’isolamento e dalla paura.

Cosa fare allora per essere salvati? Cosa può liberare dalla prigione che ci si è costruita a causa delle proprie colpe? O nella quale qualcuno ci ha segregato pur senza essere colpevoli? Queste domande sono già in sé il segno della conversione, il desiderio di fuggire dalla desolazione del male per cercare una risposta che possa, come un terremoto, aprire le porte delle celle nelle quali è rinchiuso il cuore. Una risposta, quella di Paolo e Sila, che ha il suono delle catene spezzate che cadono a terra: «credi al Signore Gesù».