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di Nicola Tedoldi

«Fui in prigione e veniste a trovarmi».

Ecco il carcere come luogo dell’incontro con Gesù che si fa presente in coloro che la società mette all’ultimo posto. Lì nei bassifondi del vivere umano, dove ogni emozione rischia di diventare deserto, dove il tempo è scandito dall’abbandono e dove anche i ricordi rischiano di diventare offuscati e di essere dimenticati, lì siamo chiamati ad essere vicini nientemeno che a Gesù.

Siamo chiamati a riaccendere le emozioni, a far ripartire un tempo nuovo, a creare un nuovo ricordo. Siamo chiamati ad essere vicini a coloro che sono considerati inavvicinabili, con una promessa che ci trasforma da visitatori in visitati. Perché Gesù ci assicura che ogni visita ad un prigioniero sarà una visita fatta a Lui. Una visita con il Cristo sofferente, presente nel prigioniero che troveremo davanti.

Un’esperienza della generosità di Gesù che ci invita a cambiare il nostro punto di vista e a guardare oltre la colpa e il colpevole, per concentrarsi solo sull’umanità, senza giudizi, senza preconcetti, senza senso di superiorità. In quell’umanità incatenata, scossa, disastrata, c’è tutta la presenza del Cristo che si fa carico attivamente della sofferenza dei prigionieri e chiede a noi di alleviarla con la nostra presenza.

Una presenza umile come si conviene a chi si trova di fronte al Signore, una presenza che faccia risplendere il nostro volto per la gioia dell’incontro, una presenza capace di portare e ricevere amore anche dentro i confini della prigionia.