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di Winfrid Pfannkuche

«Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede».

Presunzione? Orgoglio? Forse dovremmo abbassare i toni. Soprattutto in tempi in cui pare sia vero il contrario, cioè che il mondo vinca la nostra fede. Non c’è motivo per gridare vittoria. Dobbiamo imparare ad abbassare noi stessi, e ascoltare. Questa è la nostra fede.
Non è né orgoglio né presunzione, perché non è un vincitore né ricco né potente, ma qui parla un fratello di una piccola comunità, minacciata, perseguitata. Qui ascoltiamo la voce di un vinto dal mondo. Uno che ha le sue origini nel mondo dei vinti.

Perché ce lo dice? Per ricordarci quant’è importante e preziosa la nostra fede. Ciò a cui noi diamo spesso poca importanza. Ciò che ha perso voce. Ciò che è piccolo e debole. Sconfitto. Vinto dal mondo.

Il fratello Giovanni dà importanza a coloro ai quali il mondo la nega. In questi giorni è davanti agli occhi di tutti: gli immigrati vengono controllati nei minimi dettagli, ma chi ha il coraggio di controllare, di vigilare sui potenti quali quelli dell’industria automobilistica o siderurgica?
Il fratello Giovanni dà valore, dignità a tutti coloro ai quali l’abbiamo negata. Ci ricorda che abbiamo qualcosa di più importante, di più grande e di più prezioso del mondo intero: la nostra fede.

La stessa parola diventa una fortissima consolazione e motivazione, se non penso a me stesso e la mia fede, ma a colui che ha detto come ultima parola prima della crocifissione: Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo (Giovanni 16,33). Poi ci lascia e ci lascia il suo Spirito consolatore.
E lo Spirito consolatore che ci ricorda tutto quello che Gesù ha detto, l’ha ricordato agli allievi della scuola di Giovanni che, a sua volta, lo ricorda a noi.

Ecco, perché qui non parla lo spirito dell’orgoglio, ma lo Spirito consolatore. Perché la fede che vince il mondo, in fondo, non è mia – né la mia convinzione né il mio sentimento. La fede che vince il mondo è la sua, la sua fiducia che pone in noi.
Una fiducia, non quella orgogliosa che crea vittime, ma che si abbassa per ascoltarle e ad amarle come egli le ama.