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di Winfrid Pfannkuche

«Alcuni, indignatisi, dicevano tra di loro: "Perché si è fatto questo spreco d’olio? Si poteva vendere quest’olio per più di trecento denari, e darli ai poveri"».

Il ragionamento è giusto. Non possiamo non aderire a questo programma per i poveri. È lei, la donna di Betania, che non va.

E perché non va? Perché ha fatto qualcosa che non è utile. Qui tocchiamo il nerbo del testo e della nostra vita: l’utilità. Tutto dev’essere utile. Ciò che non è utile, appunto, è inutile. Devo essere utile, rendermi utile. Altrimenti sono inutile. Tutto è sottoposto al giudizio dell’utilità. Quel che dice l’utilità è giusto. La legge dell’utilità è profondamente radicata nella nostra memoria e nel nostro cuore. È il decalogo della nostra vita: “Io sono la Signora Utilità, la tua dea... tu non fare questo, ma fa’ questo...” Tutto dev’essere utile altrimenti tutto è inutile. E se perdo il mio lavoro? E se non ho soldi? E se mi ammalo? E se invecchio?

Davanti al tribunale dell’utilità è drammatico sentirsi inutili.

Non cogliamo la novità, la bellezza del gesto dirompente della donna. Continuiamo a ragionare come abbiamo sempre ragionato. A proporre quel che abbiamo sempre proposto. A programmare quel che abbiamo sempre programmato. La nostra memoria continua a fare quel che ha sempre fatto. Il nostro cuore continua a fare quel che ha sempre fatto. Lei - sprecona - non può entrare e rompere. C’è già una padrona: l’utilità, indignata, non tollera la memoria di lei. Infatti, la rimuove.

L’idolo dell’utilità è forte. Forte come la morte. Ci vuole la tenera forza della donna che rompe il prezioso vaso. Che entra e spezza l’assoluto valore dell’utilità. Per sprecarsi. Per Cristo.