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Il Vangelo ci parla 5
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Il piccolo gregge
di Luciano Deodato
Al tempo della guerra fredda, quando la “cortina di ferro” divideva l'Europa, ebbi l'opportunità di passare alcuni giorni a Berlino, naturalmente nella parte Ovest. Un giorno, saputo che era possibile, a uno straniero come me, ottenere un visto temporaneo per la parte Est, allora sotto il regime comunista, passai il posto di blocco e m'inoltrai nella parte orientale.
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La vera luce
di Luciano Deodato
«Splenda la luce fra le tenebre» (2 Corinzi 4,6)
Nel cimitero, dove a sera si accendono flebili fiammelle su decine di tombe, una rimane buia. A me appare la più luminosa perché illuminata non da una lucina dal significato antico e superstizioso, ma dall’annuncio che le tenebre della nostra morte sono state vinte dalla Parola della vita e che la resurrezione comincia già ora, per fede, nel corso della nostra esistenza. -
Romani 5,6 e 8
di Luciano Deodato
«... mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo a suo tempo, è morto per gli empi (...) Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.»
Cristo è morto per gli empi, ha dato la sua vita per loro, per noi. Potremmo mai capirne il significato profondo? Questa parola così audace e paradossale, cuore dell’Evangelo, è l'unica che, di fronte alle tragedie del nostro vivere e allo squallore del nostro morire, può farci intuire un mondo nuovo, una umanità nuova e fondare la nostra speranza. -
Marco 5,19-20
di Letizia Tomassone
«Gesù gli disse: “Va' a casa tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te”. Ed egli se ne andò e cominciò a proclamare nella Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatte per lui. E tutti si meravigliavano.»
Gesù guarisce e cerca così di infondere libertà e gioia nella vita di chi incontra. Non crea però un legame di dipendenza ma fa crescere la persona nella sua autonoma capacità di giudizio. In questo racconto, Gesù non vuole che l’indemoniato guarito lo segua, ma lo rimanda alla sua vita, alla sua città, al suo contesto locale. E’ lì che la sua nuova libertà deve trovare spazio. -
Isaia 49,1-2 e 4
di Letizia Tomassone
«Il Signore mi ha chiamato fin dal grembo materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano...»
Il dono della parola è affidato al profeta e ai suoi contemporanei, così come a noi. Un dono per uscire dal senso di impotenza che a volte domina il nostro pensiero e non ci permette di far fruttare la speranza che ci è affidata. E’ una speranza che non viene da noi, un dono di saldezza che non sta in ciò che noi costruiamo da soli, ma è dono della visione di Dio che coinvolge una intera comunità.