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Rapporti con la Chiesa cattolica

La Chiesa cattolica romana ha mantenuto in passato un atteggiamento di radicale condanna di ogni iniziativa ecumenica partendo dall’assunto di essere l’unica chiesa di Cristo perché fondata sul ministero di Pietro. In questa prospettiva tutte le altre realtà ecclesiali, le chiese ortodosse come quelle evangeliche non si possono attribuire il titolo di chiese e l’ecumenismo deve essere inteso unicamente come il ritorno all’obbedienza romana. Per questo è l’unica chiesa storica che non ha sino a questo momento partecipato al Movimento ecumenico in forma istituzionale; non è cioè membro del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC).

Il Concilio Vaticano II ha naturalmente rappresentato un mutamento profondo di questa prospettiva; la presenza di osservatori a tutte le sessioni stava a significare una apertura alla realtà del mondo non cattolico. Si sono così avviate forme diverse di incontro: fra comunità a livello locale, fra teologi, si sono progressivamente abbandonati toni polemici e giudizi sommari.

Per quanto riguarda le relazioni ecumeniche o interconfessionali la situazione italiana è del tutto particolare rispetto ad altri paesi del continente europeo dove le due confessioni hanno convissuto per secoli, sia pure spesso in modi conflittuali. Il fatto che la Riforma protestante non abbia avuto nessuna rilevanza nella vita religiosa e culturale italiana e i movimenti di Riforma del '500 siano stati stroncati dall'Inquisizione ha fatto sì che la presenza evangelica sia risultata nel nostro paese fatto esterno e irrilevante. La presenza dopo il 1848 di gruppi evangelici minoritari è stata fortemente ostacolata dalla chiesa che ha assunto spesso nei loro confronti atteggiamenti persecutori.
A questo si aggiungeva il fatto che nella mentalità del clero e dei fedeli italiani la presenza protestante era avvertita come elemento estraneo alla coscienza comune.

Anche in Italia però il Concilio segnò una svolta e determinò progressivamente un nuovo clima nei rapporti interconfessionali. Ne fu segno importante la comune traduzione della Bibbia promossa dalla Società Biblica in Italia. A questa particolare traduzione in lingua corrente hanno collaborato numerosi studiosi valdesi e metodisti.

mons. Pier Giorgio Debernardi e mons. Mansueto Bianchi al Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste (foto Riforma)

Il più importante documento del dialogo ecumenico, la Carta Œcumenica, è stata accolta dal Sinodo nel 2001.
Uno dei problemi di maggiore tensione è sempre stato quello delle unioni matrimoniali fra cattolici ed evangelici per la diversa valenza data al matrimonio: sacramento per i primi, comunione di fede e di vita per i secondi. Mentre in ottica protestante ogni matrimonio, anche quelli interconfessionali, è legittimo e valido, per i cattolici lo sono solo quelli celebrati in chiesa romana.
Il tema è stato oggetto di lunghe riflessioni al termine delle quali è stato stipulato fra la Conferenza Episcopale Italiana e il Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi un documento, il "Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti", approvato nel 1997, a cui ha fatto seguito, nel 2000, il Testo applicativo.

Il clima di fiducia e di rispetto creatosi progressivamente col tempo, favorito anche da colloqui e incontri a livello locale, permette di affrontare con maggior serenità le letture diverse che le varie confessioni fanno dei principi teologici di base.

APPROFONDIMENTI

Giorgio Girardet, Protestanti e cattolici: le differenze, Torino, Claudiana, Collana "Le Spighe", n. 1