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di William Jourdan

È soprannominato il “Paese delle Mille Colline” e chi abbia l’opportunità di attraversare il Ruanda potrà ben comprenderne le ragioni: verdi pendii che si rincorrono, coperti da alberi e da una folta vegetazione, rendono il paesaggio di quest’area dell’Africa realmente unico. Una terra di un rosso intenso offre un terreno fertile per molte coltivazioni, che l’abbondanza d’acqua non fa che facilitare: le persone lavorano in tanti piccoli campi, che garantiscono a molte famiglie la possibilità di essere autonome nella propria esistenza. La storia recente del Ruanda – come noto – è segnata da una vicenda di morte e di eccidi. Nel 1994 si scatena il genocidio contro i tutsi: nel giro di cento giorni vengono uccise centinaia di migliaia di individui inermi (si stimano ufficialmente più di un milione di vittime). Donne, uomini, bambini massacrati per una follia omicida che può essere letta come l’ultima conseguenza del colonialismo, che aveva costruito un immaginario di distinzioni etniche contrapposte che non appartenevano alla storia di questo Paese. A distanza di quasi trent’anni le conseguenze di questa tragedia si sentono ancora. Se, da un lato, il Ruanda è un paese che ha saputo risollevarsi, ritrovando la strada per una riconciliazione nazionale e per una rinascita economica e sociale, dall’altro, non c’è famiglia ruandese che non abbia perso dei famigliari nell’anno del genocidio o che non debba vivere nella consapevolezza che qualcuno dei membri della propria famiglia ha collaborato con gli assassini.

In Ruanda si è svolto, dal 17 al 23 aprile, il Consiglio esecutivo della CEVAA: giunti nella capitale, Kigali, i membri del Consiglio sono stati accolti dalla Chiesa presbiteriana del Ruanda, membro della Comunità di chiese in missione e, in questo caso, ospite della sessione di lavoro del Consiglio. Le sedute del Consiglio si sono svolte nella cittadina di Kibuye, nella regione occidentale del Paese, sulle sponde del Lago Kivu, dove la Chiesa presbiteriana ha un centro per l’ospitalità di singoli o di gruppi. Il luogo, molto suggestivo, si trova a 1400 metri d’altezza, ma le temperature sono simili a quelle della Riviera ligure. Il lago Kivu rappresenta un confine naturale tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, i cui monti si potevano vedere in lontananza nelle giornate di sole; e sebbene i rapporti tra questi stati confinanti non siano sempre sereni, il luogo rimane una delle più importanti destinazioni turistiche del Paese.

Il Consiglio, oltre a conoscere più da vicino la Chiesa presbiteriana del Ruanda e la sua storia, ha trattato molti e diversi temi. Rimane sul tavolo, per l’ufficio del segretariato della CEVAA a Montpellier, la ricerca di una nuova figura di segretario esecutivo per il polo progetti e ricerca finanziamenti: una figura che sappia unire competenze amministrative e interesse per le relazioni interculturali. La nuova segretaria generale della CEVAA, la pastora Claudia Schulz, al suo primo Consiglio esecutivo in presenza, ha presentato la sua variegata e sostanziosa attività degli ultimi mesi: numerosi viaggi e contatti per mantenere vivo quell’orizzonte di comunione e condivisione che caratterizza le chiese della CEVAA, oltre alla collaborazione con vari altri organismi missionari. Sebbene molte chiese vivano una situazione favorevole, anche per quanto riguarda la crescita numerica dei membri, non mancano le difficoltà che la Comunità è chiamata ad affrontare. Tra queste, un tema importante è sicuramente legato alla sostenibilità della CEVAA nei prossimi anni: un gruppo di lavoro sta valutando in che modo possano – o debbano – essere adeguate le quote contributive delle diverse chiese, soprattutto per fare fronte alla diminuzione dei contributi di diverse chiese europee. Prosegue, inoltre, l’attenzione e lo sviluppo del progetto Solidarité Santé, che dopo la battuta d’arresto legata alla pandemia, ha ripreso pienamente le proprie attività a vantaggio di vari ospedali presenti in diversi paesi dell’Africa. Attualmente, si sta sviluppando la fase 3 del progetto, che si concentra sul consolidamento delle competenze amministrative delle gestioni ospedaliere e sul miglioramento delle dotazioni dei presidi.

La presenza di Nicolas Monnier, direttore dell’organizzazione svizzera DM – Mission, che riunisce le attività e gli interessi missionari delle chiese protestanti svizzere francofone, ha permesso nuovamente al Consiglio della CEVAA di avere un confronto con un partner competente e affidabile, oltre che amico di vecchia data. Monnier ha ricordato che, in collaborazione con l’Istituto ecumenico di Bossey, centro di studi del Consiglio ecumenico delle chiese, si sta sviluppando un nuovo ciclo di formazione in teologia interculturale, che ha riscosso un buon successo nelle due precedenti edizioni.

Grande attenzione e tempo di discussione è stato dedicato all’organizzazione della prossima Assemblea generale della CEVAA che si terrà in Costa d’Avorio nel mese di ottobre 2023. Il tema dell’Assemblea sarà “Abitare diversamente la creazione”: la preoccupazione per il creato – sebbene il tema possa talvolta apparire ridondante e scontato – accomuna le chiese del Sud e del Nord dell’emisfero, ponendo questioni in relazione alle quali i cristiani devono continuare a lasciarsi interrogare e, se possibile, offrire qualche risposta, capace, magari, di essere anche testimonianza della propria fede.

Nell’ultima giornata delle sedute del Consiglio, si è partecipato al culto nella locale chiesa presbiteriana. Il tempio non aveva, nelle forme, nulla di solenne: una grande sala, coperta con del laminato di metallo, con panche molto semplici e un pulpito altrettanto semplice. La comunità presbiteriana di Kibuye, nonostante questo umile locale di culto, conta circa cinquecento membri, con una presenza media al culto di duecentocinquanta-trecento persone. La gioia del canto e della celebrazione in genere è la gioia di una chiesa che sa trovare speranza anche quando intorno si vedono molti segni di miseria. E questa speranza, la Chiesa presbiteriana del Ruanda, che conta oggi in tutto il Paese circa un milione di membri, ha saputo nutrirla anche nel tempo successivo al genocidio: non chiamando le persone ad un cammino di fede esaltato, ma fermandosi a confessare il proprio peccato di silenzio di fronte alle stragi del 1994. Il presidente della Chiesa, il pastore Pascal Bataringaya, parla di questo gesto non come di una medaglia da appuntarsi sul petto, ma come di un gesto essenziale per sostenere il futuro della chiesa stessa.

Un mondo molto diverso rispetto a quello dell’Europa secolarizzata ma che – forse, se sappiamo ascoltare – offre anche a noi un segno di quella speranza che l’Evangelo della riconciliazione sempre testimonia.