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di Silvia Davit

L'intervista alla Segretaria Generale di Eurodiaconia, ospite del Sinodo 

Torre Pellice, Mercoledì 28 Agosto 

Quest'anno la segretaria generale di Eurodiaconia, Heather Roy, è stata invitata a partecipare al Sinodo della Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi. Abbiamo approfittato dell'occasione per parlare con lei di questa importante federazione di diaconie europee. 

La prima domanda è d'obbligo: qual è la missione di Eurodiaconia? Su che cosa state lavorando e verso quali prospettive state orientando il lavoro dei prossimi anni? 

«Eurodiaconia è un network di 51 organizzazioni che lavorano nell'ambito diaconale. Alcune di esse sono chiese, altre sono organizzazioni diaconali afferenti a una chiesa (come a esempio la Diaconia valdese – Csd), altre ancora sono organizzazioni indipendenti che hanno un'identità cristiana. Tutte insieme costituiscono una rete impegnata nella giustizia sociale tramite l'offerta di servizi socioassistenziali e sanitari e tramite attività di advocacy. I nostri membri credono in un cambio sociale in Europa giusto e trasformativo, che non lasci nessuno indietro. Vogliamo vedere un'Europa in cui ogni persona sia valutata in base al proprio valore e alla propria dignità intrinseci, che sono donati da Dio.

Per raggiungere questo obiettivo lavoriamo su tre fronti. Sosteniamo i nostri membri offrendo la possibilità di incontrarsi per condividere esperienze e “buone prassi”, organizziamo degli incontri di rete durante i quali i membri discutono sulle rispettive sfide, ma condividono anche i successi e riflettono sui contesti giuridici, economici e sociali nei quali lavorano. Programmiamo anche visite di studio per le nostre organizzazioni, affinché possano vedere le une il lavoro delle altre, e le mettiamo in rete perché possano sviluppare strumenti condivisi. Lavoriamo anche per far sì che la voce e le esperienze dei nostri membri giungano fino alle Istituzioni europee. Questo lavoro politico, di advocacy, si basa sul fatto che i nostri membri lavorano con le persone e i servizi ogni giorno, e possono così vedere che cosa sta succedendo nella nostra società e quali sono le cause di ingiustizia. Noi trasmettiamo questa conoscenza a chi deve prendere le decisioni, lavorando assieme ai nostri membri per presentare il loro punto di vista. 

Infine, offriamo ai membri opportunità per riflettere sulla loro identità cristiana. Tutti quanti affrontiamo le sfide legate al mantenimento della nostra identità in un ambiente secolarizzato e pluralista - come possiamo mantenere l'identità della nostra organizzazione anche se questa non è condivisa dalla maggior parte delle persone che lavorano con noi? Che cosa significa effettivamente essere un'organizzazione cristiana nel lavoro che svolgono i nostri membri?  In Europa siamo arrivati a un punto in cui abbiamo iniziato a utilizzare le persone e ad amare le cose: eppure Dio ha creato la terra mettendoci le persone affinché le amiamo e le cose perché siano utilizzate. La nostra identità cristiana deve mostrare la forza radicale dell'amore, in grado di trasformare la nostra vita chiusa e basata sul consumismo. 

Ma dobbiamo vedere la nostra identità cristiana anche come contestuale al lavoro che svolgiamo: che cosa significa, quando ci occupiamo di una persona affetta da demenza, farlo con un'identità cristiana? Stiamo veramente accogliendo lo straniero quando lavoriamo con migranti e rifugiati? A tutto ciò si aggiunge la sfida di collegare le nostre riflessioni teologiche sulla diaconia al lavoro pratico. Molte delle persone che lavorano nella diaconia non sono teologi! Come possiamo tradurre la nostra teologia diaconale nell'attività pratica? È su questo punto che dovremo lavorare nei prossimi anni».

Eurodiaconia si trova nel cuore dell'Unione Europea: la sua sede, a Bruxelles, si trova a pochi metri dal palazzo che ospita la Commissione europea. Come sono i rapporti con le istituzioni europee? Come ha affermato, Eurodiaconia è un'organizzazione basata sulla fede: come viene vissuta questa specificità dalle realtà con cui collaborate? 

«Per fortuna abbiamo un ottimo rapporto con i nostri interlocutori, sia presso il Parlamento sia presso la Commissione europea. Lavoriamo quotidianamente con numerose persone e dipartimenti e siamo quindi in grado di portare l'esperienza dei nostri membri all'interno di molte discussioni politiche. Ci viene spesso chiesto di contribuire a dibattiti e discussioni e allo sviluppo di linee politiche, e siamo anche “proattivi”, cercando di portare alla loro attenzione specifiche tematiche. Essere un'organizzazione basata sulla fede non è mai stato un problema per noi. Credo che il motivo sia da ricercare nel fatto che basiamo il nostro lavoro sull'esperienza e sulla realtà; inoltre siamo un network “aperto”, pronto a lavorare in rete con altri enti, fermo nella propria identità ma al tempo stesso aperto alla comprensione degli altri. Ho inoltre scoperto che molte persone desiderano sapere cosa significa avere una fede cristiana e come questa si traduce nel lavoro che svolgiamo - è per questo che il nostro lavoro sull'identità è così importante! A essere onesta, se le chiese e le strutture diaconali non si prendessero cura delle persone più vulnerabili della nostra società, o se i cristiani non fossero coinvolti in una radicale azione di advocacy, mi chiedo a volte chi se ne occuperebbe – e credo che questo aiuti a farci accettare come organizzazione. Inoltre i membri del nostro staff sono molto esperti ed entusiasti e il loro lavoro di qualità sostiene la nostra reputazione e facilita i nostri rapporti».

Per concludere, ci piacerebbe avere dal suo punto di vista “privilegiato”, una sua impressione sul clima di euroscetticismo nei confronti dell'Europa, che si sta sviluppando sempre più anche in Italia. Ritiene che questo clima abbia influenzato anche l'atteggiamento delle diaconie che fanno parte dell'organizzazione?   

«La situazione attuale in Europa è molto interessante – anche nell'Italia, che ha avuto il primo governo populista in Europa dalla seconda guerra mondiale. Le recenti elezioni europee hanno visto un aumento dell'affluenza alle urne e i partiti populisti non sono andati bene come ci si immaginava. Questo non vuol dire che non abbiano un ampio consenso: basta guardare alla Germania (AfD) o al Belgio (Vlamms Belang). Poi c'è la questione dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria. Queste sono tutte spaccature nell'unità dell'Europa. Perché? In alcuni casi, c'è la sensazione di essere stati messi da parte, di aver perso la sovranità in nazioni un tempo gloriose. In altri casi ci sono ancora molta povertà e esclusione sociale, che sono terreni fertili, in alcuni casi, per coloro che desiderano interrompere il processo democratico. Non mi sembra comunque che questo clima abbia influenzato negativamente i nostri membri, piuttosto li ha spinti a impegnarsi di più contro i pericoli di una radicalizzazione della destra e dei discorsi populisti, lavorando con i giovani e nelle aree urbane. Tuttavia, sappiamo che alcune organizzazioni hanno dovuto affrontare le critiche da parte dei populisti, perché lavorano con i migranti e i rifugiati, o hanno dovuto affrontare tagli ai budget perché i politici ritengono i loro servizi non essenziali o troppo costosi. Alcune delle attuali linee politiche stanno svalutando alcune persone – decidendo che non sono abbastanza produttive o che prendersene cura è troppo caro, o che il loro status è troppo irregolare. Eurodiaconia deve fare di più per contrastare queste posizioni e penso che i nostri membri siano entusiasti di poterlo fare».

Silvia Davit