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di Pawel Gajewski

Dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo

Torre Pellice, 8 Aprile 2019

Osanna al Figlio di Davide! (Matteo 20,9b) – Sia crocifisso! (Matteo 27,23b). Queste due acclamazioni tracciano un percorso che porta dalla Domenica delle Palme al Venerdì Santo. Si tratta di un percorso liturgico che le nostre chiese compiono in questi giorni. Un percorso che assume anche una forte valenza simbolica.

Nella dimensione dell’umanità di Gesù si tratta di una sorta di movimento verticale dall’alto verso il basso: dall’esaltazione all’umiliazione. Colui che doveva diventare re viene crocifisso insieme ai due malfattori. Si può intravedere in questa struttura simbolica e liturgica l’esatto opposto dei desideri umani che, in condizioni normali, spingono l’individuo verso l’alto, verso il trionfo, verso la sua piena affermazione.

Il percorso tracciato da Gesù nella fase finale della sua vita terrena viene spesso definito con il termine greco kenosis. La kenosis di Gesù, il non considerare il suo «essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi» (Filippesi 2,6b), è una forma dell’essere rivolta totalmente verso l’altro; l’Io Sono divino si rivolge attraverso la persona del Figlio verso il Tu sofferente dell’essere umano. Tale movimento corrisponde all’umiltà di un servizio simile a quello di uno schiavo. Questo servizio è portato alla sua conseguenza estrema: la croce, una condanna a morte riservata, appunto, agli schiavi o, in ogni caso, alla gente di bassa condizione sociale e priva di diritti civili.

La croce, dunque, segna la fine di tutte le aspirazioni umane? In un certo senso si potrebbe pensare così. Tuttavia, il significato teologico del Venerdì Santo va oltre. La croce significa una trasformazione radicale e non la fine di tutte le cose. Questa trasformazione è strettamente legata al riconoscimento della gloria e della signoria dell’Eterno. È un antidoto ad ogni forma di antropocentrismo. Tale trasformazione non dipende dalle opere umane ed è esclusivamente frutto dell’azione divina. L’azione divina che comunemente si esprime con il termine “grazia”. La grazia indica un modello della presenza e dell’agire dell’Eterno che noi, uomini e donne di tutte le etnie e di tutti i tempi, possiamo percepire come manifestazione del Suo amore per l’essere umano.

L’Eterno è sempre disposto a venirci incontro. Soprattutto quando la nostra esistenza ci sembra inchiodata a una croce. Egli è disposto a far vedere la sua azione concreta nella nostra vita. Se tendiamo ad allontanarci da Lui, Egli è disposto a venire verso di noi e a condurci a Sé.

Questa Presenza trasforma il buio del Golgota (luogo del teschio), in una Luce nuova che illumina il trionfo dell’Amore puro e senza pretese.