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di Giorgio Tourn

Il saggio di H. Tristram Engelhardt jr., curato da Luca Savarino, edito dalla Claudiana Torino, 2014
H. Tristam ENGHELHARDT jr., Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico, a cura di Luca Savarino, Torino, Claudiana

Il saggio è di indubbio interesse e sarebbe meritevole di dibattito serrato, più che per le tesi esposte, per gli interrogativi che pone alla riflessione teologica odierna. Il problema di una possibile etica cristiana in un mondo secolarizzato, che costituisce ormai da tempo il quadro di riferimento entro cui si muove ogni nostro dibattito, è superato dal nostro autore in una prospettiva assai più radicale.

Il problema non è come condurre un’etica ispirata alla fede cristiana con quella di una società moderna di ispirazione liberale illuminista, ma come professare una fede cristiana autentica e, di conseguenza, una vita significativa in un mondo da cui Dio è sparito. E non si tratta solo di un mondo dove è morto, come vaticinava Nietzsche, ma percepito come inesistente, cancellato dall’orizzonte della realtà.

«La soluzione è ritornare alle origini del cristianesimo al culto e alle credenze giuste, alle antiche discipline ascetiche della Chiesa», vivere cioè un cristianesimo autentico, quello delle origini, che l’autore crede di ritrovare in modo compiuto nell’ortodossia orientale.

A questo cristianesimo l’autore ha aderito abbandonando il cattolicesimo romano di cui era esponente, nella convinzione che il cammino percorso da esso in epoca medievale sia stato radicalmente deviante. L’integrazione della ragione nel percorso della fede, lo sforzo di tradurre il messaggio in categorie filosofiche, ne ha compromesso in modo radicale la dimensione spirituale, la fedeltà evangelica. La teologia autenticamente cristiana non è quella professata degli accademici, dai grandi Scolastici ai moderni professori, ma quella dei monaci che ne vivono la dimensione ascetica.

Nel mondo odierno, ormai ridotto a landa desolata, privo della trascendenza divina che ne costituiva la norma orientativa, universo senza cielo (senza metafisica), per quel che riguarda la morale e il comportamento, l’individuo è abbandonato a se stesso, condannato a una sorta di bricolage etico (come anche la sua religione è ormai un assemblaggio di elementi religiosi delle più diverse provenienze).

Solo dei credenti di ispirazione radicale (i legionari di Cristo, i fondamentalisti evangelici) o tradizionali (credenti dell’Ortodossia) sono in grado di condurre un’azione efficace di difesa dei valori perduti. E non si tratta solo di collocare una presenza significativa in un mondo laicizzato, ma di condurre un conflitto insanabile fra due impostazioni di vivere e pensare.

Il linguaggio del nostro autore è molto concreto, diretto, la sua riflessione, intessuta di esperienze personali, è di agevole lettura, il fatto però di aver organizzato il volume come raccolta e rielaborazione di conferenze in alcuni casi elaborate e integrate lo rende spesso ripetitivo. Luca Savarino apre il volume con un testo che, avendo i caratteri di saggio critico molto puntuale, più che come introduzione va letto come conclusione.
Importanti, dicevamo in apertura, sono i problemi posti nel dibattito. Colpisce la radicalità del giudizio negativo sulla teologia cattolica e sul suo rinchiudersi nel problema fede-ragione. Papa Ratzinger e Ratisbona sono liquidati senza appello (e questo dovrebbe interessare anche i laici nostrani).

Ma non esiste altra via di accesso a Dio all’infuori del neo tomismo e della tradizione mistica dell’Ortodossia? I riformatori del XVI secolo hanno aperto una strada feconda ponendo la chiesa in un confronto critico con la Scrittura; è ben vero che per il nostro autore, come per tutta la sua tradizione confessionale, la via protestante non è mai esistita, ma una minima riflessione meriterebbe prima di essere definitivamente abbandonata.

La tesi secondo cui «Dio irrompe sempre nella nostra vita e si fa manifesto mediante l’icona» (p. 284) corrisponde forse davvero alla situazione odierna; la sacra icona dipinta, quella ortodossa, e quella vivente del pontefice romano, ma la tradizione apostolica afferma che l’unica icona voluta da Dio è il suo Cristo. E qui sta il nodo irrisolto della cristianità moderna di vivere non “etsi Deus non daretur” ma “etsi Christus non daretur”. Non quello delle liturgie e dei discorsi pii, il Gesù compassionevole ma il Risorto. Nel nostro testo non se ne fa menzione.

Per quanto concerne questo tema, centrale non solo nel libro ma anche nel nostro dibattito ecclesiastico, quello cioè della morale e della sua dimensione di relazione interpersonale, è proprio vero che costituisce “il problema” dell’oggi? La posizione di fede è davvero un’etica liberal, corretta da una generica spiritualità disponibile all’ascolto? E non esiste posizione evangelicamente corretta fra i due estremi: un appiattimento banalizzante sull’etica fai da te della cultura laica e quella proposta dal nostro autore, di opposizione radicale?

Cosa pensare di una nota, a pagina 238, dove si legge che una cultura laica, orientata a pagare le tasse per mantenere uno stato di assistenza sociale, avrà inevitabilmente carattere post cristiano se non anticristiano? Tesi scandalosa e inaccettabile ad una prima lettura, ma che ha una sua motivazione spirituale: la carità (non l’elemosina) evangelica ha il suo carattere peculiare nella solidarietà che si stabilisce fra le persone, tesse relazione di agape, si ispira all’amore assoluto di Dio, l’assistenza sociale invece è amorfa, meccanica, soddisfa bisogni ma non crea nulla. Questo è profondamente vero, ma l’assistenza pubblica sottrae davvero libertà e spazio alla chiesa?

12 maggio 2014