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a cura di Sabina Baral

il prof. Fulvio Ferrario

"Bonhoeffer" è l'ultimo libro del prof. Fulvio Ferrario pubblicato da Carocci nella collana "Pensatori". L'autore, professore di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia di Roma, interverrà sull'attualità del celebre teologo tedesco sabato 12 aprile alle ore 17, presso il Centro culturale protestante di Milano. Al prof. Ferrario rivolgiamo alcune domande sul suo lavoro e sulla figura dell'importante pastore luterano, divenuto un simbolo della resistenza al nazifascismo. Tra le opere importanti di quest'ultimo ricordiamo "Resistenza e resa", "Sequela" e "La vita comune".

Prof. Ferrario, va detto che su Dietrich Bonhoeffer esiste una vasta bibliografia. Come mai un editore non religioso (seppur non digiuno di teologia) ha voluto dedicare un'ulteriore monografia a questa figura?
L’editore intendeva inserire nella collana “Pensatori”, dedicata essenzialmente a filosofi, qualche figura teologica protestante del Novecento e mi ha chiesto di scegliere tra Barth, Bultmann e Bonhoeffer. Devo dire, peraltro, che nella letteratura bonhoefferiana disponibile nella nostra lingua, effettivamente ampia, non sono molte le presentazioni complessive della teologia di questo autore e la principale, dovuta ad Alberto Gallas, prematuramente scomparso, non ha un taglio introduttivo.

La teologia di Bonhoeffer è indissolubilmente legata alla sua vita, così drammaticamente irripetibile: come mai, allora, accade che chi lo legge lo avverta come un teologo assolutamente attuale: uomo, pastore, professore, teologo di oggi?
Da un lato, direi che la figura di Bonhoeffer è, semplicemente, affascinante e il fascino non si può ridurre a categorie meramente concettuali: è una realtà al tempo stesso stagliata e indefinibile, che mi sembra giusto rispettare, e amare, come tale. Dall’altro lato si può osservare che l’opera più nota del teologo (che non è, propriamente, un’“opera”, ma una raccolta di lettere, quelle dal carcere) si presta almeno a tre livelli di lettura. Chiunque può leggerla come impressionante testimonianza umana, come il Diario di Anna Frank, gli scritti di Etty Hillesum o le lettere dei condannati a morte della Resistenza europea; chi cerca di vivere la fede cristiana, poi, lo può leggere come itinerario spirituale, che non cessa di mobilitare lo spirito e la mente; chi, infine, ha un interesse teologico, può cogliere nel testo spunti altamente originali che, proprio per il loro carattere frammentario e irrisolto, mantengono una caratteristica apertura, che non può non appassionare. Fulvio Ferrario, Bonhoeffer, Carocci editore, 2014Questa pluralità di livelli di lettura non è frequente nella letteratura teologica e contribuisce parecchio alla popolarità di Bonhoeffer.

Bonhoeffer è stato un grandissimo teologo, che però ci avverte: il «discorso sulla fede» non deve mai prevalere sulla fede stessa. E nelle sue ultime riflessioni, dal carcere, ritiene che le parole «religiose» siano come usurate. È un insegnamento ancora valido? E che cosa significa oggi?
Nel Novecento abbiamo imparato che ogni riflessione teorica è contestuale. Il discorso bonhoefferiano sul “cristianesimo non religioso” appare, oggi, estremamente attuale nel quadro del mondo ricco e secolarizzato. Personalmente ritengo che, ad esempio in Europa, il cosiddetto “ritorno del religioso” sia un fenomeno limitato e che la grande tendenza vada nel senso del passaggio dalla secolarizzazione alla vera e propria “areligiosità”. Non solo le risposte, ma le stesse domande alla base del discorso “religioso” sembrano rimosse. “D’onde veniamo?” “Dove andiamo”? Per molti nostri contemporanei veniamo da casa e andiamo in ufficio, punto. La vita, l’amore, la sofferenza, la morte, sembrano poter essere vissuti in un orizzonte totalmente secolare e sganciato da riferimenti a Dio. In questo senso, dunque, Bonhoeffer ha molto da dirci.

E’ senz’altro vero che se la fede cristiana non impara a rivolgersi all’essere umano non religioso essa è, almeno nel nostro mondo secolarizzato, condannata all’irrilevanza. Non è così?
Certamente. Per altro verso mi chiedo se il nucleo del messaggio cristiano (ad esempio come è espresso in I Cor. 15, 3 s.: Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture; e fu sepolto; e fu risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture) possa essere “tradotto” in termini “non religiosi”. Naturalmente non è questione di parole, quelle si possono (forse...) trovare. Ma la fede non espone una dottrina sul mondo o su Dio, bensì racconta la storia di Gesù e i personaggi sono quelli. I principali sono noti. Non so se i loro nomi siano “religiosi”, di per sé pare di no: Padre, Figlio, Spirito (o Vento) sono parole anche secolari, ma non saprei separarle da una storia e da una grammatica specifiche. Esse plasmano la vita quotidiana e profana, ma al tempo stesso vanno oltre. Bisogna riconoscere, del resto, che Bonhoeffer stesso, mentre dichiara la necessità di un linguaggio non religioso, è piuttosto parco di indicazioni concrete sui suoi contenuti.

7 aprile 2014