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di Maria Rosa Fabbrini

Marina Jarre, Cattolici sì, ma nuovi, ed. Claudiana

Il libro di Marina Jarre Cattolici sì, ma nuovi, presentato il 12 luglio a Torre Pellice, a «Una Torre di libri», è l’ultimo della trilogia valdese che comprende Ascanio e Margherita e Neve in Val d’Angrogna. Un libro sull’oblio della memoria e sul suo riaffioramento, grazie a un paziente lavoro di ricerca.

Siamo in val Pragelato, alta Val Chisone, terra valdese fin dai secoli centrali del Medioevo, dove viandanti provenzali (e più tardi i predicatori ginevrini) portano parole nuove per dire la religione. Parole e linguaggio che ai montanari di questa terra delfinale – e quindi francese –, entrata a far parte della Repubblica degli Escartons nel 1343 insieme ai cantoni di Oulx, Casteldelfino, Briançon e Queyras, suona finalmente familiare e consolante.

Appuntiamo qualche coordinata cronologica per facilitare la lettura: 1488, prima crociata antivaldese nella Val Pragelato, proseguita a Fraissinière, Argentière, Vallouise; 1685 revoca dell’Editto di Nantes da parte di Luigi, XIV, in conseguenza della quale i valdesi pragelatesi si trovano di colpo, e per decreto, cattolici romani; 1698, editto di Vittorio Amedeo II che sancisce, in alternativa all’abiura, l’espulsione di tutti i sudditi francesi riformati, pragelatesi compresi; 1713, trattato di Utrecht, che ridisegna i confini tra Italia e Francia: la nuova linea di separazione segue il crinale delle Alpi interrompendo porosità e contiguità delle vallate alpine. Con il trattato di Utrecht la Val Pragelato (permutata insieme all’alta Val di Susa con la Valle di Barcellonette) entra a far parte dei possedimenti di Vittorio Amedeo II, elevato alla dignità di re; editto del 1730: le leggi sabaude impediscono ai valdesi pragelatesi la professione formale della loro religione e ne cancellano di fatto l’esistenza.

A seguito di questi eventi, i valdesi che rifiutano di farsi cattolici sono costretti a tre esili (1685/1687, 1698 e 1730), ma mettono in atto anche una coraggiosa resistenza.
In tale scenario si inserisce la storia raccontata da Marina Jarre. Che nasce da una casualità: la sua presenza, in una recente estate a Pequerel, sopra Fenestrelle, insieme a dei compagni di viaggio che portano un cognome, Orcelet, sulla cui origine Marina Jarre si incuriosisce. Inizia così una lunga strada di ricerca che rivelerà l’antica appartenenza valdese di cui dopo il 1730 si era persa memoria.

Gli Orcelet escono dall’anonimato alla fine del XVI secolo e li troviamo a Mentoulles (Villevieille, Ville Cloze), Lafondufau, Chambons, Fenestrelle (Champs e Puy). Sono valdesi, contadini e allevatori di bestiame. Poi, anche loro nel 1685 si ritrovano cattolici romani, per decreto. A differenza di molti altri, però, non emigrano e continuano a vivere al Puy, sopra Fenestrelle. Nel 1698, durante il secondo massiccio esodo, anziché andarsene in Svizzera e Germania o accettare di farsi cattolico, un gruppo di Orcelet (sono i «nostri! », scrive Marina Jarre) decide di restare nelle proprie case, tra i campi e i prati intorno a Pequerel.

Nel periodo della resistenza valdese, dal 1709 al 1730, gli Orcelet dimostrano ancora una volta la forza della loro fede. Il 16 agosto 1716, infatti, l’antenato Jean, insieme al cugino Etienne con la moglie, parte da Pequerel con il primogenito nato due giorni prima per farlo battezzare a Pomaretto. Cinque ore di cammino all’andata e altrettante al ritorno, lo stesso giorno.

Questi Orcelet non se ne vanno neppure con l’ultima emigrazione del 1730. Ma da quel momento, pur mantenendo nel cuore la loro fede diversa, diventano cattolici. Non sappiamo esattamente quando succede e neppure il perché. Marina Jarre suppone che la loro scelta non sia conseguente all’azione repressiva. È «l’impossibilità sentita interiormente di abbandonare campi, pascoli, bestiame e case, cioè una parte di se stessi» a farli restare. Così nel 1730 gli Orcelet escono dalla storia, avvolti da un cattolicesimo trionfante. Ma la nostalgia, almeno per i primi decenni dopo il 1730, quella rimane. Uno spazio nel cuore per qualcosa di prezioso e importante perduto. Poi, con il passare delle generazioni, la memoria si indebolisce fino a scomparire.

Una casualità, come si è detto, fa alzare il velo e riapre le pagine della loro storia destinata ai lettori, ma soprattutto a un piccolo Orcelet, Gioele, anche lui presente quel giorno d’estate a Pequerel, al quale Marina Jarre dedica il suo libro.

Tratto da Riforma del 25 luglio 2014