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  • Genesi 21, 9-10

    di Francesco Sciotto

    «Sara vide che il figlio partorito ad Abraamo da Agar, l'egiziana, rideva; allora disse ad Abraamo: “Caccia via questa serva e suo figlio; perché il figlio di questa serva non dev'essere erede con mio figlio, con Isacco”».
    Il nome "Isacco" significa ridere. Il figlio di Abramo e Sara si chiamava "Ridere". Sara non riusciva ad avere figli e propose ad Abramo di obbligare una loro schiava ad avere con lui un figlio. Nacque così Ismaele. Poi anche Sara riuscì ad avere un figlio e non voleva che Ismaele "ridesse" con Isacco. Non tutti possono ridere ed essere eredi. Ismaele doveva essere cacciato, allontanato!

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  • Atti degli Apostoli 1, 9-11

    di Francesco Sciotto

    «... due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo”».
    Non è raro che l'evangelista Luca racconti più di una volta la stessa storia. Il racconto dell'ascensione in cielo di Gesù si trova alla fine del Vangelo (Luca, 24, 50) e all'inizio del libro degli Atti dove troviamo il particolare dei due uomini in vesti bianche che apostrofano i discepoli rimasti “incantati” a guardare il cielo dopo la partenza di Gesù. Se si rimane imbambolati, con gli occhi al cielo, la vita non ricomincerà e la vocazione rimarrà strozzata.

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  • Salmo 107, 4-9

    di Francesco Sciotto

    «Essi vagavano nel deserto per vie desolate; non trovavano città dove poter abitare. Soffrivano la fame e la sete, l'anima veniva meno in loro. Ma nella loro angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro tribolazioni... »
    E' bello che a finire nella Bibbia sia stato un vecchio libro di canti. Come se noi, potendo scegliere, potessimo metterci dentro i vecchi inni della tradizione di Ginevra, le canzoni di Fausto Amodei, quelle di Gershwin, o i vecchi canti degli emigranti italiani. I versetti di oggi sono tratti dal Salmo 107, il canto dei diseredati: viaggiatori di mare e terra, prigionieri in catene, esiliati, infermi. Tutto il campionario, insomma, degli ultimi. Eppure, più che di una canzone triste, si tratta di un canto di gioia di chi ricorda, o deve ricordare, guarigione, liberazione, affrancamento.

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  • Giacomo 5,16

    di Giovanni Anziani

    «...pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti...»
    Un professore di etica all’università di Amsterdam, ricordando in un suo saggio come l’abitudine alla preghiera sia andata perduta, presenta un breve elenco di obiezioni mosse alla preghiera nell’ambito dei cristiani. Abbiamo il dissacratore: pregare è un segno di debolezza; il deluso: pregare non serve a nulla; infine il giovane rampante: non ho tempo per pregare. Vi è qui una parte della nostra esperienza personale perché l'assenza della preghiera rivela la nostra natura: siamo persone deboli, consapevoli di vivere come cristiani nella fragilità della nostra esistenza.

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  • I Corinzi 13, 8

    di Paolo Ribet

    «L’amore non verrà mai meno».
    Nella parte centrale dell’inno di I Corinzi 13, l’apostolo Paolo enumera le qualità dell’agape. È quello che è stato definitol’identikit dell’amore. Ne aveva colto il senso profondo e la forza il teologo tedesco D. Bonhoeffer, il quale invitava la sua comunità a chiedersi «chi è questo amore?»: «Chi è questo amore, se non colui che da solo ha sopportato, creduto, sperato tutto, e che ha dovuto soffrire tutto fino alla croce? [...] Che ancora sulla croce ha pregato per i nemici, e così ha vinto totalmente il male? Chi è questo amore, di cui Paolo qui ha parlato, se non Gesù Cristo stesso? Chi s'intende qui, se non Lui? Quale segno sta al di sopra di tutto questo passo, se non la croce?».

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