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di Enrico Benedetto

«Dio vide che gli abitanti di Ninive si erano pentiti e che abbandonavano la cattiva strada. Allora Dio rinunciò al male che aveva annunciato di far loro: non lo fece. Giona la prese male e si arrabbiò. E pregò il Signore, dicendo: "(...) Ecco perché avevo preferito fuggire a Tarsis! Sapevo che sei un Dio clemente e compassionevole, paziente e grandemente fedele. Ora, Signore, prendimi la vita, ti prego, perché per me è meglio morire che vivere". Il Signore rispose: "Fai bene ad arrabbiarti?"»

In quattro versetti, due colpi di scena, una conclusione inattesa e il punto interrogativo finale. Dio cambia idea. Giona se la prende. Poi taglia corto, chiedendo al Signore della Vita di farlo morire. Ma quest’ultimo, invece di passare all’atto o di consolarlo, lo interroga sulla sua collera. Un po’ come aveva fatto con Caino prima del fratricidio, mentre qui si tratterebbe piuttosto di un suicidio assistito, divinamente assistito. Finora la storia di Giona aveva progredito. Ma oggi siamo in presenza d’una regressione. Lo stesso uomo che nel secondo capitolo del nostro microlibro aveva lanciato dagli abissi un salmo di riconoscenza al Signore, è come se adesso gli dicesse: “Vedi che avevo ragione io a fuggire la missione che mi avevi affidato? Sapevo che sei tu a non essere affidabile. Proclami morte e distruzione, ma porgi vita e compassione appena la tua parola non viene ignorata. Io ci perdo la faccia. Non vuoi più distruggere i Niniviti? Allora distruggi me!” 

Il gioco delle proiezioni, dei transfert e dei controtransfert gratificherebbe più d’uno psicanalista, con Dio in poltrona a porre la domanda finale a un Giona disteso sul divano. Ma il nostro testo non è solo un sottile gioco di stile. Vi apprendiamo che Giona fuggiva Dio non perché lo conosceva poco, ma troppo. Non voleva, insomma, imbarcarsi con lui e ha preso il rischio di colare a picco pur di non soccorrere, con Dio, i naufraghi della vita che l’avrebbero messo in contraddizione - secondo la sua lettura - con se stesso quanto con il Signore. Possiamo dirgli, qualche annetto dopo, che è in buona compagnia. La nostra.