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di Daniele Garrone

«Naaman disse: “Quando il mio sovrano entra nel tempio di Rimmòn per prostrarsi, si appoggia al mio braccio e mi devo prostrare anch’io ... il Signore perdoni il tuo servo per questo.” Eliseo rispose: “Va’ in pace!”»

Naaman, alto ufficiale del re di Aram, è stato appena guarito dal profeta Eliseo da una malattia. La sua vicenda però finisce con la ritrovata salute, ma culmina in una conversione. Naaman ha una nuova consapevolezza: “ora so che non c’è alcun Dio in tutta la terra, se non in Israele” e si sente legato ad una nuova obbedienza, “non offrirà più olocausti né sacrifici ad altri dèi, ma solo al Signore”.

C’è però un problema: il suo ufficio lo costringe ad unirsi agli atti di culto del suo sovrano, contraddicendo i propositi che ha appena espresso. Chiede che gli sia perdonata questa incoerenza, evidentemente “esteriore”, visto che la sua coscienza è vincolata alla scoperta che ha appena fatto. La risposta del profeta è assai “liberale”: dicendogli “va’ in pace!” non lo sta semplicemente accomiatando senza pronunciarsi, ma lo lascia con una approvazione.

Vi sono parole della Bibbia che pongono severi aut aut, come: “Non si può servire Dio e Mammona …”, che chiedono rotture esplicite e non soltanto distacco interiore. Tra il “vai in pace!” di Eliseo e quelle parole si crea un campo di tensione, in cui viviamo la nostra fede. Se ci sentiamo chiamati ai programmi radicali, se ci affascina la parola “coerenza”, se aspiriamo ad una sorta di immacolatezza, lasciamoci innanzitutto provocare dalla risposta di Eliseo. Se incliniamo a non curarci dei nostri conformismi pensando che basta la libertà che sentiamo dentro, ascoltiamo innanzitutto gli aut aut della Bibbia.