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di Daniele Garrone

«Il Signore disse a Giona: "Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato, che tu non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non avrei pietà di Ninive, la gran città …"»

Sono le ultime parole del libro di Giona, il profeta - all’inizio renitente – che va a Ninive ad annunciare da parte di Dio che in capo a quaranta giorni la città sarà distrutta per la sua malvagità.

Inaspettatamente, però, i Niniviti,  il loro re in testa, si pentono. Vedendo che “si convertivano dalla loro malvagità, Dio si pentì del male che aveva minacciato di far loro; e non lo fece”. Giona prende a male questa reazione di Dio, per lui evidentemente poco “divina” e ne è molto irritato. Addirittura chiede a Dio di morire, non potendo sopportare l’idea di un Dio misericordioso che si pente. Non gli resta che stare a guardare, fuori della città, quel che accadrà … Quando Dio fa seccare la pianta che aveva fatto crescere per dar riparo a Giona, spettatore in attesa di una apocalisse, Giona ribadisce il suo desiderio di morire. E’ a questo punto che Dio lo interpella: tu hai pietà di un ricino e io non dovrei averne per una grande città e i suoi abitanti?

Non sappiamo se e come abbia risposto Giona. Il libro finisce qui, forse appositamente, perché sia il lettore a rispondere. Perché sia lui a scegliere se vuole, come Giona, incaponirsi con l’idea di un Dio implacabilmente coerente oppure lasciarsi sorprendere dalle “torsioni” di un Dio misericordioso che si mette in gioco per le sue creature.