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di Paolo Ribet

«L’amore non verrà mai meno».

Nella parte centrale dell’inno di I Corinzi 13, l’apostolo Paolo enumera le qualità dell’agape. È quello che è stato definito l’identikit dell’amore. Ne aveva colto il senso profondo e la forza il teologo tedesco D. Bonhoeffer, il quale invitava la sua comunità a chiedersi «chi è questo amore?»: «Chi è questo amore, se non colui che da solo ha sopportato, creduto, sperato tutto, e che ha dovuto soffrire tutto fino alla croce? […] Che ancora sulla croce ha pregato per i nemici, e così ha vinto totalmente il male? Chi è questo amore, di cui Paolo qui ha parlato, se non Gesù Cristo stesso? Chi s'intende qui, se non Lui? Quale segno sta al di sopra di tutto questo passo, se non la croce?». La domanda, dunque, non è che cos’è l’amore, ma chi è.

Subito dopo questa descrizione, al versetto 8, l’apostolo Paolo fa la grande affermazione che «l’amore non verrà mai meno»: tutto passa, tutto svanisce e solo l’agape resta e supera anche la cortina oscura della morte. L’amore supera tutti i confini del tempo perché rappresenta la realtà stessa di Dio che si dona per noi. Tutti i doni elencati nei versetti precedenti svaniranno (perfino la fede e la speranza), in quanto essi sono per l’oggi, per il tempo del provvisorio. Quando verrà la pienezza, rimarrà soltanto l’agape – perché «Dio è agape» (I Giov. 4,8). 

Annunciare la Pasqua e la resurrezione non significa, dunque, parlare del ritorno in vita di un morto, ma dell’anticipazione del mondo nuovo di Dio. È in Cristo, infatti, che noi possiamo conoscere l’amore che «non verrà mai meno», quella dimensione della realtà di Dio che supera tutti i confini. 

Noi siamo chiamati a vivere già oggi la resurrezione rivestendoci di Cristo e percorrendo così la «via per eccellenza» (I Cor. 12,31).