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di Stefano D'Amore

«Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa»

Guardiamo bene la scena, anche quella descritta nei versetti che seguono: la solitudine comincia a coprirsi di fiori, le ginocchia si rafforzano mentre camminano per poter proseguire, l’acqua comincia a sgorgare. E il passo cambia, la gioia si impossessa di noi perché Dio non è laggiù ad attenderci alla fine del viaggio, ma sta trasformando il cammino insieme a noi, passo dopo passo.

Nel nostro essere curvi su noi stessi, bloccati nelle nostre incapacità, paralizzati sulle nostre avidità, non posiamo scorgere Dio che ci viene incontro. Per questo il profeta usa espressioni come rialzarsi, fortificarsi e rafforzarsi di fronte al Signore che a sua volta compie un movimento verso di noi. È un invito a rialzarsi e riprendere vita perché il tempo del giudizio è finito.

Il cammino del periodo di Avvento è molto simile: in viaggio verso il Natale, dalle tenebre alla luce, dalla notte all’alba. Non c’è immediatezza, non c’è un interruttore, ma c’è lentezza, gradualità. C’è un invito a rafforzare le nostre ginocchia vacillanti perché la venuta di Dio in mezzo la aspettiamo, ma allo stesso tempo l’abbiamo già sperimentata.

Siamo in cammino nel deserto, ma in un deserto che va trasformandosi in terra verdeggiante e dal quale nasce una via dove non ci si può smarrire. La strada che Dio ha aperto e su cui camminiamo è per tutti, è una strada sicura e protetta. Non è priva ostacoli da superare, non è priva di cambiamenti da operare, ma è carica della Sua presenza.